(di Francescomaria Tuccillo) In questi giorni di riflessioni e inquietudini sul futuro dell’Europa, ho ritrovato nei miei cassetti virtuali la versione originale di un breve saggio che fu ospitato dalla «Rivista di Studi Politici» nel lontano 1995.
L’Edificazione della Nuova Europa
Oggi ne propongo il testo integrale, nella stessa rivista che lo pubblico’ oltre vent’anni fa. Mi pare possa offrire qualche spunto di interpretazione, non del tutto inutile, del momento storico, politico ed economico che noi, cittadini europei, stiamo vivendo.
Spunti di lungimiranza, innanzitutto. Non tanto mia, quanto di alcuni grandi protagonisti della storia europea citati nel saggio, Aldo Moro in primis. Era il 1977 quando scriveva: “È giusto rilevare che l’ostacolo, il quale sbarra il nostro cammino, proviene dalla Gran Bretagna, da tempo la più tiepida, la più problematica, la più incerta su ogni sviluppo dell’entità europea”. Lo scorso 23 giugno la maggioranza dei cittadini britannici ha scelto la Brexit, cioè l’uscita dall’Unione Europea. Era scritto. Moro e pochi altri statisti illuminati, dal pensiero alto e lungo, avevano compreso le dimensioni dell’ostacolo britannico. Almeno oggi la situazione è chiara, senza ambiguità, e ci offre la possibilità di ripartire con più forza, da basi diverse.
Per ripartire l’Europa ha bisogno di identità più forte, idee più innovatrici, talenti più spiccati e molto coraggio. Il coraggio di guardare in faccia la realtà e costruirsi il suo ruolo nel mondo. Un mondo in cui – come scrivevo allora – gli assi economici si spostano con un meccanismo “paragonabile ad una ‘opera- zione idraulica’: la rete idrica è predisposta, basta una semplice azione di rubinetteria per permettere l’utilizzo ora dell’uno, ora dell’altro canale esistente per lo spostamento dei flussi”.
Ad aprire e chiudere i rubinetti sono, oggi, altri da noi. I paesi emergenti, innanzitutto, con le loro materie prime, le loro economie dinamiche e i loro fondi sovrani: un universo difficile da comprendere, spesso opaco nel comunicare, ma anche affascinante, ricco di risorse e bisognoso di competenze. Competenze che noi europei possediamo da secoli perché siamo la “teca di culture del pianeta” – e che potremmo valorizzare proficuamente, sempre che riuscissimo a mostrare al mondo un volto più unito e più forte.
Dopo l’uscita della Gran Bretagna sembra essersi rianimato quello “straordinario fervore intellettuale intorno all’idea europea” di cui Jean Monnet parlava nel 1976, aggiungendo tuttavia che “non aveva niente a che vedere con l’azione”.
Mi auguro non sia così questa volta, quarant’anni dopo le profetiche parole di Monnet. Mi auguro che il rinnovato perimetro dell’Unione si trasformi da problema in opportunità per costruire un nuovo equilibrio mondiale, “naturale” e non “indotto”, in cui un’Europa sempre più unita voglia e sappia agire da protagonista.