Il presidente Trump nel discorso del 21 Agosto, per l’Afganistan ha fatto importanti precisazioni.
La prima, peraltro dovuta, è stata quella di un maggiore coinvolgimento di Kabul per prendere una responsabilità più consistente della guerra in atto, evidenziando quindi che il paese è ben distante da uno scenario di riconciliazione.
Il secondo punto trattato, ha riguardato il Pakistan con i suoi santuari ancora presenti per i dissenzienti terroristi e Talebani.
Infine, ha affermato che non è possibile ritirare le truppe dall’Afganistan, per il rischio che l’insorgenza terroristica possa trovare di nuovo terreno fertile nella martoriata area, ISIS docet.
L’unica soluzione annunciata è stata l’aumento, peraltro non quantificato, di militati in Afganistan.
La decisione annunciata, nulla ha a che fare con i fini ultimi strategici per la regione.
L’Afganistan rappresenta il teatro operativo a più lunga permanenza degli USA e di alcuni alleati tra i quali l’Italia . Dopo le decisioni, definite da alcuni studiosi non di grossa portata tecnica, del Presidente USA per l’Afganistan, sotto il profilo geopolitico non si possono prevedere grandi risultati sul terreno o grossi stravolgimenti: difatti oggi, si parla di “conflict management” per l’Afganistan, per la gioia della Cina e della Russia, e non di “conflict resolution”.
Nei due momenti topici della guerra in Afganistan, la presenza di truppe alleate raggiunse circa 150.000 soldati per sconfiggere i talebani.
Oggi i talebani dicono che hanno riguadagnato il 40% del territorio perso, Kabul sostiene invece che solo l’11% del territorio è stato perso: indipendentemente dai numeri in gioco, che saranno sempre contestati da ambo le parti, la partita afgana è ben lungi dal definirsi conclusa dopo sedici anni dall’inizio delle operazioni di stabilizzazione dell’area, anzi, si continua ad assistere a cambiamenti di decisioni e ciò è tipico dei conflitti ove, alla fine delle grosse ostilità militari, non si riesce a dare soluzioni politiche alla conflittualità.
L’11 settembre gli Stati Uniti dichiararono di essere sotto attacco (Attack on America) e i mandanti erano stati individuati in Al Qaeda, una organizzazione terroristica sviluppatasi in Afganistan sotto il governo Talebano.
I talebani persero l’appoggio degli USA, appoggio sviluppatosi nel periodo precedente di occupazione russa del Paese, perché si rifiutarono di consegnare Osama Bin Laden e la sua organizzazione terroristica.
Dopo sedici anni di operazioni, nonostante l’obiettivo politico sia rimasto identico, si è assistito solo al cambio della tattica militare e dei numeri: i 4000 soldati menzionati dalla stampa, successivamente al discorso presidenziale come rinforzo allo schieramento attuale, sicuramente non muteranno la situazione geopolitica dell’area.
Anche il Pakistan è guardingo sugli sviluppi futuri, soprattutto per gli aspetti politici e strategici, nel vicino Afganistan in esito all’accenno, inaspettato dai più, fatto dal presidente americano nel suo discorso, che ha richiesto il coinvolgimento, almeno economico, dell’India nella crisi afgana.
La situazione geopolitica nell’area, in esito a tale richiesta americana, che può esser letta anche in chiave anti cinese, è ora divenuta molto più complessa per la soluzione del conflitto afgano.
Non sappiamo quali saranno le decisioni dell’India sulla proposta americana, di sicuro però, dopo la richiesta USA all’India, il Pakistan, nemico acerrimo dell’India, dovrà modificare la sua strategia per scongiurare il rischio di trovarsi l’India, che consta più di un miliardo circa di popolazione, anche sul confine Afgano.
La partita è tutta da giocare ed è pensabile che il Pakistan dovrà ora ricercare, purtroppo e ancora una volta, l’appoggio talebano per scongiurare l’ingresso dell’India in Afganistan.
Il Pakistan dovrà rafforzare il concetto religioso di unione del paese contro quello etnico.
In tutta questa partita lontana con attori e comparse, l’Italia, presente in Afganistan oramai sin dall’inizio delle operazioni, dovrà interrogarsi se è ancora interesse nazionale essere presente in quell’area e con quali fini: essere alleati vuol dire condividere strategie, rischi e costi per raggiungere fini comuni.
di Pasquale Preziosa