Secondo quanto riportato da Nova, la Corea del Nord ha segnalato oggi il riavvio delle operazioni presso il complesso industriale inter-coreano di Kaesong, che Seul aveva chiuso unilateralmente nel febbraio 2016, in risposta ai test nucleari e ai test balistici effettuati dal suo Vicino settentrionale. Il sito d’informazione e propaganda politica nordcoreano Uriminzokkiri, gestito dall’agenzia di stampa nazionale Kcna, ha annunciato che il complesso industriale sorge sul territorio sovrano della Corea del Nord, e dunque nessun paese ha il diritto di interferire sulle decisioni relative all’operatività del sito. Il media nordcoreano ha aggiunto che gli stabilimenti della più meridionale tra le città nordcoreane, opereranno ora a ritmo più sostenuto, implicando che la produzione verrà ripresa per mezzo dei macchinari e delle risorse abbandonate dalle aziende sudcoreane ritiratesi lo scorso anno.
Inaugurata nel 2004, l’area industriale a statuto speciale di Kaesong ha ospitato 124 aziende sudcoreane e impiegato oltre 54 mila lavoratori nordcoreani per la produzione di manufatti ad alta intensità di lavoro, come capi di vestiario e utensili. Lo scorso anno, dopo l’annuncio dell’interruzione delle attività da parte di Seul, Pyongyang ha annunciato il congelamento di tutti gli asset della aziende sudcoreane all’interno della zona industriale. Lo scorso agosto, dopo la pubblicazione di rapporti in merito alla sparizione di macchinari ed attrezzature sudcoreani da Kaesong, il governo di Seul ha ammonito Pyongyang che tutti i mezzi di produzione, i veicoli e gli utensili del complesso di Kaesong appartengono alle aziende sudcoreane.
L’economia nordcoreana, paragonabile a quella sudcoreana tra la fine della Guerra di Corea (1953) e gli anni Settanta del secolo scorso, subì un tracollo nei decenni successivi, a causa dell’eccesso di pianificazione centrale e della parziale interruzione del sostegno da parte del Blocco sovietico. Nel 1965, per la prima volta dalla fine della guerra, Pyongyang conseguì un tasso annuo di crescita economica inferiore a quello del suo Vicino meridionale. Negli anni successivi il paese intraprese un progressivo allineamento economico alla Cina, ma ciò non bastò a scongiurare il default del paese, nel 1980.
Negli anni Ottanta la Corea del Nord iniziò a rivedere la propria politica incentrata sull’autosufficienza e intraprese le prime, timide aperture agli investimenti e al commercio esteri. Entro il 1986, però, il debito in valuta forte accumulato dalla Corea del Nord superò l’importo complessivo di un miliardo di dollari. Nel 1993, dopo il collasso dell’Unione Sovietica, Pyongyang adottò un piano triennale di transizione economica incentrato sull’agricoltura, l’industria leggera e il commercio estero. Gli sforzi di modernizzazione vennero tuttavia ostacolati dal cronico deficit della bilancia commerciale, dall’indebitamento estero eccessivo, e dall’eccesso di risorse destinate alla Difesa, che in quegli anni assorbiva circa il 20 per cento del Pil nazionale.
Tra il 1994 e il 1998, il paese venne colpito da una grave carestia, che si stima abbia causato tra le 220 mila e i tre milioni di vittime. L’emergenza fu di portata tale da spingere per la prima volta Pyongyang a interrompere il proprio isolazionismo e chiedere l’aiuto della comunità internazionale, nel 1995. Nel 2002 il regime istituì una regione industriale a statuto speciale a Kaesong, e due anni dopo le due Coree realizzarono un complesso industriale co-gestito. Pyongyang rimase beneficiaria di aiuti umanitari sino al 2006, quando il regime rifiutò di accettare forme di aiuto differenti dalla cooperazione allo sviluppo. Tra il 2009 e il 2013 il regime nordcoreano ha intrapreso sforzi considerevoli per la promozione dell’imprenditoria privata, in un contesto economico ancora caratterizzato dalla pianificazione centrale.
A dispetto della pressione imposta dalle sanzioni economiche internazionali, l’economia della Corea del Nord ha conseguito nel 2016 una crescita stimata del 3,9 per cento, il dato migliore da 17 anni a questa parte. Il Pil nordcoreano ammonterebbe oggi a circa 28,5 miliardi di dollari, e il Pil pro-capite sarebbe paragonabile a quello del Ruanda, una delle economie più dinamiche del Continente africano. Alla crescita hanno contribuito, oltre al commercio con la Cina, le riforme del decennio precedente, che tra le altre cose hanno consentito alle aziende di fissare i salari, assumere e licenziare il personale.