Senza mai nominarlo direttamente, i due ultimi suoi predecessori alla Casa Bianca hanno lanciato un duro attacco a Trump e allo spirito della sua presidenza. Ed il fatto che George Bush e Barack Obama abbiano scelto, uno ad una conferenza sulla democrazia a New York e l’altro da un palco elettorale, lo stesso giorno per rompere con l’etichetta del silenzio nei confronti del loro successore, rafforza l’allarme che, ormai gli establishment dei due partiti, vivono sulle conseguenze profonde del ‘trumpismo’ sul tessuto sociale e politico dell’America.
“L’intolleranza sembra rafforzata, la nostra politica più vulnerabile alle teorie del complotto e delle totali falsità”, è l’allarme lanciato, durante la “Sprit of Liberty” organizzata dal Bush Institute, dall’ex presidente repubblicano che ha stigmatizzato “bullismo e pregiudizi nella vita politica” che legittimano questi atteggiamenti nella società e “compromette l’educazione morale dei nostri figli”. “Persone di ogni razza, religione e gruppo etnico possono essere pienamente americani, questo significa che ogni intolleranza o ideologia di supremazia etnica è una blasfemia contro il credo americano”, ha detto ancora con un chiaro ripudio di tutta l’ideologia suprematista e razzista.
Nel suo discorso, considerato il più forte ed articolato intervento politico di Bush da quando ha lasciato la Casa Bianca nel 2009, l’ex presidente ha quindi attaccato punto per punto l’ideologia populista, anti-immigrati, isolazionista e protezionista dell’America First: “vediamo un nazionalismo distorto che dimentica il dinamismo che l’immigrazione ha portato all’America”. Ed ancora : “la gente sta male, è arrabbiata, dobbiamo aiutarla, ma voler cancellare la globalizzazione è come voler cancellare la rivoluzione agricola o industriale”. Un discorso tutto all’attacco quello dell’ex presidente, fratello di Jeb Bush che si è visto soffiare da Trump quella che in molti nel partito consideravano la nomination scontata alle presidenziali del 2016, quasi di più di quello che, praticamente contemporaneamente, Obama ha pronunciato, salendo per la prima volta dall’uscita della Casa Bianca su un palco elettorale a sostegno dei candidati governatori in New Jersey e Virginia.
“Non possiamo continuare ad avere questa politica di divisione che risale a secoli fa – ha detto con un chiaro riferimento alle politiche razziali – alcune di queste politiche pensavano di averle tolte di mezzo. Ma questa gente guarda indietro di 50 anni, siamo nel 21esimo secolo non nel 19esimo!”. Anche Obama, che anche se come Bush non ha mai nominato Trump si è chiaramente riferito al presidente, ha descritto una leadership politica che fa leva sulla paura ed aizza la rabbia: “invece di avere una politica che riflette i nostri valori, abbiamo una politica che infetta le nostre comunità. Invece di cercare modi per lavorare insieme e cercare soluzioni pratiche, abbiamo persone che deliberatamente provocano la rabbia, demonizzano persone con idee diverse”. “Dobbiamo prendere tutto questo seriamente, è in gioco la nostra democrazia. Le elezioni contano, votare conta, non possiamo dare niente per scontato”, ha concluso con quella che è suonata come un’autocritica per aver lui, Hillary Clinton e i democratici sottovalutato la minaccia elettorale di Trump.
Gli interventi, irrituali, dei due ex presidenti hanno ovviamente attirato l’attenzione dei media, anche per la loro concomitanza. “Il fatto che due presidenti abbiano parlato in modo così forte ed eloquente è un monito sul fatto che sono a rischio i principi fondamentali della democrazia che entrambi i partiti sostengono da tempo in patria ed all’estero” ha commentato Antony Blinken, ex vice segretario di Stato dell’amministrazione Bush, che – come molti altri democratici di peso, come Madeleine Albright – erano, forse non a caso, alla conferenza di New York organizzata dai Bush.