“La cooperazione tra Iran e Cina aiuterà l’attuazione dell’accordo nucleare da parte dei firmatari europei e il rispetto degli impegni assunti nell’ambito dell’intesa”. Lo ha detto il presidente iraniano Hassan Rohani rivolgendosi al ministro degli Esteri cinese Wang Yi, aggiungendo che l’accordo con la Cina potrà certamente cambiare i termini della questione nucleare. Il presidente iraniano ha elogiato il sostegno della Cina all’Iran presso gli organismi internazionali e anche per l’accordo nucleare e la sua lotta contro l’unilateralismo e le richieste eccessive degli Stati Uniti.
(di Massimiliano D’Elia) Qualche giorno fa un fulmine a ciel sereno, il tatticismo americano basato sulla politica dell’elastico questa volta non ha funzionato, anzi ha spinto la Cina a passare dalle parole ai fatti firmando un accordo commerciale con Teheran fino al 2030 per un controvalore commerciale di 600 miliardi di dollari. Il ministro cinese che ha incontrato il ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif e il consigliere del capo politico iraniano Ali Larijani, ha affermato di ritenere la pressione esercitata dagli Stati Uniti sull’Iran “illegale e disumana“. Ha anche detto di accogliere con favore l’approccio della nuova amministrazione statunitense sul probabile ritorno all’accordo sul nucleare affermando però che gli americani dovrebbero rimuovere subito le sanzioni contro l’Iran. Nel frattempo ad alleviare la sempre più crescente crisi economica iraniana ci ha pensato la Cina che non ha perso tempo, l’occasione di posizionarsi in maniera strutturale in quella parte del globo non poteva essere lasciata alla politica altalenante americana.
L’accordo tra Cina e Iran, siglato due giorni fa, ha aumentato in maniera importante l’interscambio commerciale tra i due paesi, che si attesterà a 600 miliardi di dollari entro il 2030. Il solo Stato cinese s’impegna a investire 400 miliardi nei primi cinque anni, in infrastrutture, telecomunicazioni e settore energetico. Un aiuto di vitale importanza per l’Iran che a seguito delle sanzioni Usa ha visto scendere il suo prodotto interno lordo a circa 450 miliardi nel 2020. La Cina forte dei suoi 16 miliardi di Pil sbarca così in un area geografica strategica posizionandosi su una finestra privilegiata che guarda sull’Asia caucasica lungo la nuova Via della Seta, un’opportunità in più per velocizzare così anche la collaborazione nel campo del 5G, dell’intelligenza artificiale e nei settori industriali legati per la maggior parte al settore della difesa. La contropartita è particolarmente vantaggiosa per la Cina perchè otterrà il petrolio iraniano con sconti fino al 30 per cento rispetto ai prezzi di mercato. La Cina avrà un doppio vantaggio geopolitico, il prestigio di aver riaperto in maniera velatamente “legale” i rubinetti al greggio di Teheran e l’esclusiva mondiale nella costruzione di oleodotti, strade, ferrovie e porti (strutture che saranno però protette dalle forze di sicurezza cinesi). Il consigliere di Rohani, Hesamoddine Ashena a caldo ha dichiarato che l’accordo è un esempio di diplomazia di successo ma ha aggiunto che però ci potrebbero essere le proteste interne dei Pasdaran, che non amano vedere stranieri in divisa sul proprio territorio. Rohani però è stato costretto a dover cedere alle lusinghe cinesi per via della pressante crisi economica acuita dalla pandemia anche se prima di accettare aveva chiesto più volte al neo eletto presidente Usa Biden la fine immediata delle sanzioni economiche. Una richiesta mai recepita oltreoceano per via della continuazione e implementazione da parte di Teheran del programma nucleare e dei missili balistici intercontinentali.
Le intenzioni americane (era Trump) sulla decisione di uscire dall’accordo sul nucleare si erano palesate concretamente quando venne ordinata l’uccisione del generale iraniano Soleimani e quando l’amministrazione a stelle e strisce ha firmato l’accordo di Abramo tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein per la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra i tre paesi in senso anti Iran. Un altro errore della diplomazia americana si è registrato al vertice in Alaska del 18 marzo scorso tra Usa e Cina quando al termine i funzionari di Biden hanno pubblicamente detto ” nessun compromesso con i regimi autoritari che violano i diritti umani“. La risposta di Pechino è stata immediata: “Alle parole seguiranno i fatti”, non a caso vi è stata un’accelerazione della firma dell’accordo con l’Iran che era già in cantiere dal lontano 2016 quando Xi Jinping aveva fatto visita alla capitale iraniana.
Ma l’accordo appena siglato non prevede solo scambi commerciali ma anche una più stretta collaborazione militare sia in un contesto più prettamente operativo sia nel campo dell’industria della Difesa (Aviazione e Aerospazio). Nel novembre del 2016 i due paesi avevano anche già firmato un accordo per contrastare il terrorismo avviando esercitazioni congiunte tipo quella effettuata tra il Golfo dell’Oman e lo stretto di Hormuz. Esercitazione su larga scala che aveva interessato i due eserciti in maniera davvero importante con lo spiegamento di numerosi assetti militari.
La Cina alla luce della tiepidezza americana non si ferma e va oltre : ha già annunciato di voler promuovere a Pechino un tavolo per riaprire i negoziati tra israeliani e palestinesi.
L’alleanza strategica con l’Iran mette a sistema anche la Turchia che è una variabile cinese per via degli ingenti prestiti concessi. Non è da meno l’influenza cinese anche sul Pakistan per contrapporlo all’India che da tempo dialoga con il Quad (Giappone, Australia e Stati Uniti) per contrastare Pechino nel Mar cinese meridionale.
Il dragone cinese come abbiamo visto sta tentando di stringere in una morsa mortale gli Stati Uniti che sotto l’amministrazione Trump con il paradigma “America first”, hanno lasciato troppo spazio a paesi come Cina, Turchia e Russia che, di contro, hanno saputo cogliere le diverse occasioni di instabilità mondiali per affermarsi in diverse parti del globo in modi e attività sul campo per la maggior parte molto discutibili.