(di Franco Iacch) L’Isis ha “rivendicato” il fallito attentato di lunedì scorso avvenuto sotto il capolinea degli autobus della Port Authority, ad un isolato da Times Square, a New York. Il breve testo pubblicato questo notte sul 110° numero di al-Naba, è compatibile con il modello previsionale applicabile che abbiamo utilizzato il 12 dicembre scorso per provare ad immaginare il contenuto della rivendicazione.
Il modello previsionale applicabile
Fino allo scorso settembre la propaganda Isis era strutturata sulla immediata rivendicazione per dare l’illusione di una portata globale: una tattica che ha fatto molto presa in Europa. Tuttavia nel fallito attentato avvenuto il 15 settembre scorso all’altezza della stazione di Parsons Green, nella zona residenziale di Fulham, l’Isis ha adattato la sua propaganda. L’episodio non è stato ignorato, ma lodato. La mancata deflagrazione del rudimentale IED è stata del tutto accantonata, privilegiando le capacità del gruppo di colpire il Regno Unito per la quarta volta in sei mesi.
Come si scrive una rivendicazione
Le rivendicazioni solitamente non richiedono forme di saluto. Il testo metrico standard prevede alcune formule ridondanti. Martedì scorso avevamo provato ad immaginare la possibile rivendicazione che l’Isis avrebbe scritto (22-25 righe al massimo) su New York basandoci su un modello previsionale. Poche ore dopo l’attentato avevamo ipotizzato un testo tipo:
“Un nostro soldato dello Stato Islamico (l’Isis avrebbe potuto inserire il nome dell’esecutore materiale del gesto o ignorarlo come nel caso di Sayfullo Saipov, mai citato) ha dimostrato l’inadeguatezza delle contromisure occidentali crociate, facendosi beffa dei loro sistemi di sicurezza…”
Per dare prova di quel piano globale del terrore, il media operative (ricordiamo elevato allo status di Mujaheddin già nel 2014) in passato ha menzionato nello stesso testo i precedenti episodi come quello di Las Vegas ad opera di Abu Abdul Barr al Amriki, il presunto nome arabo di Stephen Paddock. La guida “Media Operative, You Are a Mujahid, Too” rappresenta un cambiamento nella strategia di comunicazione salafita-jihadista per tutte le operazioni di informazione. Nella rivendicazione di New York, avevamo ipotizzato un uso frequente della parola “crociati” con anomalia della prima lettera scritta in modo differente in diverse parti del testo (e così è stato).
Tutte le parole riferite all’Occidente inteso come nemico sono sempre scritte in minuscolo in segno di disprezzo poiché non potrebbero stare sullo stesso piano letterale e simbolico delle altre come Allah, Dio o Jihad. Nella loro retorica le crociate invocano una guerra difensiva dell’Islam contro l’Occidente invasore. Secondo la distorta visione dell’Isis, il mondo è diviso in due parti (il riferimento è al discorso dell’ex Presidente Bush): o si è dalla parte dei crociati o con l’Islam. E’ uno stratagemma culturale nel tentativo di unire tutti i musulmani in una guerra religiosa. La strategia dialettica ha un fine ben preciso: inquadrare il conflitto in un’ottica religiosa e politica. Con il termine “crociati” l’Isis identifica tutti i nemici dell’Islam. L’ossessivo utilizzo della parola nei testi è strutturato per rendere sempre viva nella mente nei lettori il ruolo dell’Occidente come storico invasore e nemico religioso. Poiché non esiste distinzione (il contenitore crociato annovera tutti i nemici), si rendono implicitamente colpevoli anche i civili, rei di supportare e legittimare qualsiasi tipo di conflitto in Medio Oriente. Ecco perché anche i “crociati civili” diventano obiettivi legittimi di una guerra. Nelle nozioni storiche date ai lettori, l’Isis spiega che i crociati sono sempre stati sconfitti nel tempo nonostante i loro diversi tentativi di soggiogare il Medio Oriente. Il termine, quindi, rientra in un preciso messaggio di speranza, lotta e vittoria ciclica. Dichiarando gli occidentali come crociati, l’Isis tenta di legittimare la sua battaglia contro coloro che vogliono conquistare la terra della fede, screditando tutti i loro sforzi bellici. L’Isis si definisce come il ramo puro dell’Islam nella sua forma più vera, la sua autorità si basa sulla religione.
Il concetto di “stupidità” dei crociati
L’obiettivo di ogni rivendicazione è quello di ridicolizzare (in modo chiaro o velatamente) l’apparato di sicurezza dell’Occidente ribadendo che il volere divino non è mai il medesimo e che si realizza tramite azioni semplici ed immediate. Quella definita come “stupidità dei crociati” è più volte menzionata nei testi jihadisti come ad esempio nel nono numero di Rumiyah diffuso il sei maggio scorso o nell’edizione di Dabiq nel novembre del 2015. La letteratura jihadista va interpretata, non semplicemente tradotta in modo letterale. La stupidità va intesa come l’inefficacia dell’occidente nel prevedere e contrastare in modo efficace un’azione violenta isolata. Approfondendo il concetto, la stupidità crociata rappresenta l’occasione favorevole per colpire. Nella reinterpretazione teologica, la finestra temporale utile è sempre di ispirazione divina.
La propaganda è essenziale per la sopravvivenza dell’Isis sia come gruppo che come idea per coltivare quella profondità strategica digitale. È un meccanismo prezioso con il quale far valere l’acquiescenza nel suo proto-Stato ed un’arma penetrante con cui affermare la propria egemonia terroristica all’estero. Negli anni a venire, servirà come bandiera attorno alla quale i veri credenti del califfato si raduneranno, una volta perduti i territori.
La rivendicazione Isis di questa notte
Il 110° numero di al-Naba (dodici pagine) è stato pubblicato questa notte. E’ un numero complesso nei contenuti che andrebbe studiato con estrema attenzione. La “rivendicazione” di New York si trova nella penultima pagina (l’undicesima), poco prima della solita infografica di chiusura. 22 righe, ultima colonna a destra. Quella che segue è la traduzione integrale della “rivendicazione”.
“Il raduno dei crociati (1) nel centro di New York è stato sconvolto da un attacco. L’esecutore dichiara di essere un soldato dello Stato Islamico. Una giovane (da non tradurre in modo letterale, in questo caso significa vittima del sistema) originario del Bangladesh ha realizzato una bomba rudimentale fatta in casa (facilità di esecuzione), riuscendo a ferire (concetto di stupidità riferito ai sistemi di sicurezza) un certo numero di crociati (2). La polizia americana crociata (3) ha dichiarato che la bomba è esplosa in un tunnel pedonale nei pressi della famosa Times Square di New York (informazioni). La bomba è esplosa all’ora di punta vicino la fermata degli autobus, causando lesioni e panico (sono informazioni che si rifanno alla stupidità come occasione temporale propizia). Tre dei crociati (4) sono stati colpiti. Nello stesso attacco, l’uomo (non più giovane, ma uomo per le azioni terrene compiute) di origini bengalesi è rimasto ferito. Vi era una gran folla sul posto (ennesimo riferimento alla facilità di esecuzione con informazioni dettagliate). Il pubblico ministero di Manhattan (si identifica un bersaglio) ha annunciato che il giovane (nuovamente vittima) è stato trasferito in ospedale per le ferite riportate a causa dell’esplosione della bomba a tubo (info) che ha colpito i crociati (5). L’uomo (Akayed Ullah, il nome è citato solo alla fine) ha affermato di essere un soldato dello Stato Islamico e che ha effettuato il suo attacco per le azioni dei crociati (6) contro i musulmani in Iraq”.
La compatibilità con il modello previsionale
L’Isis non ha rivendicato ufficialmente il fallito attentato di New York, ma si è limitata a chiusura dell’ultimo numero di al-Naba di rilevare quanto avvenuto. L’Isis non ha posto il suo sigillo, limitandosi ad affermare “l’esecutore dichiara di essere un soldato dello Stato Islamico”. La compatibilità con il modello previsionale del dodici dicembre scorso è alta. I canoni strutturali sono stati rispettati. La ridondanza dei termini è pienamente compatibile. L’evento X sembrerebbe essere rivendicato con formule standard Y ridondanti. La rivendicazione seguirebbe quindi una struttura prestabilita che andrebbe poi a plasmarsi solo nei contenuti con l’evento specifico. La compatibilità sarà testata a lungo termine, ma qualora si rivelasse affidabile nel tempo potrebbero essere utile per strutture risposte specifiche ed affinare i modelli comunicativi. L’importanza di comprendere le complessità della propaganda utilizzata dai terroristi non andrebbe sottovalutata. Un modello previsionale affidabile consentirebbe una opportuna calibrazione dei messaggi e dei modelli comunicativi e fornirebbe preziosi strumenti per scardinare la narrativa strategica utilizzata dai terroristi.
La narrativa strategica: l’importanza dei modelli previsionali
La narrativa utilizzata dai terroristi ha il duplice obiettivo di rafforzare la coesione del gruppo e creare un imperativo morale per il cambiamento, inquadrando esattamente gli avversari. Le nuove regole di condotta morale si applicano alle iterazione con gli avversari che non si percepiscono come umani. Ne consegue che i messaggi che enfatizzano l’umanità nei confronti di un gruppo che considera il nemico come sub-umano, non avranno alcun tipo di risultato. E’ necessario quindi prestare estrema attenzione al tipo di messaggio veicolato ai militanti per evitare che si possa ancora di più esacerbare il pregiudizio nei confronti dell’Occidente. È essenziale capire come i terroristi traducono le nostre percezioni e su tali valutazioni strutturare i messaggi. Qualsiasi tipo di vittoria non si basa sulla conquista fisica del territorio, ma sulla volontà di piegare la forza di volontà ed il desiderio di combattere del nemico. La visione del mondo salafita jihadista è sia transnazionale che transgenerazionale: l’ideologia non può essere sconfitta militarmente.
Il terrorismo come atto comunicativo: coesione e de-umanizzazione
La possibilità di contribuire al cambiamento dello status quo costituisce una possibilità attraente per una persona che vede un problema e vuole far parte della soluzione. I gruppi che utilizzano il terrorismo, spesso lo posizionano come parte di una missione generazionale. E’ bene ricordare che il terrorismo è il prodotto di un’analisi logica del costo-beneficio, dell’utilità prevista e delle strategie coercitive all’interno di una serie limitata di opzioni disponibili per i gruppi politici non statali. L’obiettivo principale di un attentato è quello di suscitare la paura nella popolazione colpendo un target. I terroristi instillano la paura sfruttando la copertura mediatica intesi come moltiplicatori di forze nel tempo. L’obiettivo di un attacco terroristico è quindi simbolico, raramente strategico. La violenza intenzionale è utilizzata per pubblicizzare l’attentato, concentrare l’attenzione sui problemi sostenuti da un gruppo che sono stati ignorati o meno apprezzati dagli altri. Il terrorismo funge quindi da atto comunicativo. Per i terroristi l’omicidio, che è sempre di ispirazione divina, non è una violazione della Sacra Scrittura, ma un obbligo in rispetto alla nuova e distorta rivisitazione moderna della teologia islamica. Poiché sono le azioni terrene che garantiscono le ricompense divine, l’omicidio ha pienamente senso. L’Isis ad esempio ha decontestualizzato la teologia islamica creando attori con obiettivi assolutisti o non negoziabili, per quella profonda dicotomia tra bene e male. Il codice morale nei terroristi è assente, i nemici de-umanizzati: in questo modo si elimina ogni ostacolo verso l’assassinio di massa di civili, tra cui donne e bambini. Caratterizzare i membri del terrorismo come vittime di una società ingiusta ne aumenta la coesione organizzativa, mentre nuove regole di condotta morale si applicano alle iterazione con gli avversari che non si percepiscono come umani. L’identità del gruppo è fondamentale per la formazione, l’assunzione e il funzionamento delle organizzazioni terroristiche. Le narrazioni strategiche impiegate dalle organizzazioni terroristiche seguono una precisa struttura progettata per mostrarsi idealizzata e non contraddittoria. Obiettivo della propaganda è il rafforzamento dell’identificazione negativa di coloro che non sono conformi agli ideali del gruppo. In sintesi, le comunicazioni terroristiche celebrano e definiscono l’identità dei militanti, definendo quali azioni devono essere adottate o evitate per preservare l’integrità dell’appartenenza al gruppo. Uno spiccato senso di vittimismo si traduce in un potente motivatore per giustificare la violenza e l’ideologia estremista. L’obiettivo è quello di scatenare una dissonanza cognitiva per azioni religiosamente, politicamente ed eticamente non giuste, ma idealmente necessarie per raggiungere gli obiettivi del gruppo. Tale giustificazione è essenziale per razionalizzare il coinvolgimento contro i gruppi percepiti come negativi. Le narrazioni strategiche sono strutturate per giustificare nel terrorista un’azione che si discosta dalla propria identità religiosa, culturale e politica. Le costanti informazioni stereotipate contribuiscono ad una distorta attribuzione dell’errore ed alla de-umanizzazione dell’avversario, inglobato in un’unica categoria.
De-umanizzare il nemico
Riscrivendo la percezione di un nemico lo si colloca al di fuori di un gruppo. Non riconoscendo nell’avversario alcun tipo di diritto, si elimina qualsiasi tipo di preoccupazione e rimorso nel compiere azioni efferate contro soggetti che non dispongono di caratteristiche umane. La retorica delle organizzazioni terroristiche impiega spesso linguaggi e immagini per ritrarre i nemici con spiccate caratteristiche negative a svariati livelli (affettivi, culturali, intellettivi). Enfatizzando la percezione di un nemico non umano infine, si annulla qualsiasi tipo di negoziazione pacifica. L’esame della retorica e della propaganda di un determinato gruppo andrebbe eseguita con un approccio analitico per identificare la loro struttura prima di intraprendere un approccio comunicativo. I messaggi dovranno essere strutturati per dimostrare l’esistenza di valide alternative all’adesione delle organizzazioni terroristiche. Tuttavia anche un corretto messaggio non avrà effetto se non sponsorizzato da soggetti credibili in grado di eliminare e confutare le precedenti idee estremiste veicolate. E’ inutile trattare i terroristi come un gruppo monolitico, la segmentazione del pubblico è necessaria.
La strategia di comunicazione politica coercitiva
Il terrorismo è un fenomeno lucidamente razionale, all’interno di una più ampia strategia di comunicazione politica coercitiva, dove la violenza viene usata nella deliberata creazione di un senso di paura per influenzare un comportamento e un determinato gruppo di destinatari. L’illusione di una tattica indiscriminata è essenziale per colpire psicologicamente coloro che sono sfuggite alle conseguenze fisiche di un attacco terroristico. Queste risposte comportamentali per massimizzare l’utilità negli ambienti strategici dinamici, sono riconducibili ad una logica strumentale alla base dei piani di azione. La razionalità procedurale spiega come il terrorismo è il prodotto di un’analisi logica del costo-beneficio, dell’utilità prevista e delle strategie coercitive all’interno di una serie limitata di opzioni disponibili per i gruppi politici non statali. Possiamo quindi affermare che l’attentato terroristico in se è un’azione razionale sorprendente che bilancia immediatamente le forze con il nemico (lo Stato) in un arco temporale strettamente limitato.
Il terrorismo è il paradigma rivoluzionario della nostra epoca
Ogni evento necessita di un contesto: il terrorismo è il paradigma rivoluzionario della nostra epoca. Come nessun’altra ideologia in Europa, l’Isis offriva in svariati soggetti un immediato senso di appartenenza. Elementi dal passato criminale con forme di delinquenza giovanile, disadattati, scontenti, soggetti schiacciati dalla società o giovani insospettabili. È proprio quel il senso di appartenenza anelato da tali individui poi consacrati alla causa della jihad che andrebbe analizzato. L’Isis garantiva una finestra di visibilità unica: da zero ad eroe (antieroe per l’occidente). Come ben sappiamo, l’Isis ha perfezionato l’utilizzo di internet, ottimizzando una macchina della propaganda pronta ad attivarsi per esaltare le gesta di un attentato nel mondo. Negli ultimi due anni abbiamo assistito ad una procedura standard: il simpatizzante compiva la strage, l’Isis otteneva uno spot di portata globale determinato anche dall’assenza dei protocolli di esposizione sui media. Chiunque, senza alcuna particolare abilità, ma solo con una volontà di ferro, ha già dimostrato di poter uccidere la gente e farsi ammazzare partecipando al macabro rituale degli omicidi. La maggior parte non ha avuto bisogno di una motivazione individuale. Avvenuto l’attacco l’Isis poneva il proprio sigillo, glorificando gli esecutori ed il loro martirio nella jihad contro i miscredenti. La rete fa il resto. Romanzando il successo del terrore lo si rende accessibile a chiunque. Il terrorista della porta accanto, nonostante possa ricevere un indottrinamento sul campo, non potrà mai essere considerato alla stregua di un soldato, ma ha dalla sua l’anonimato e quella capacità di essere insospettabile.
La mancanza di prospettive sia reali che percepite è il comune denominatore di tali soggetti. Questo non equivale semplicemente alla privazione socioeconomica. Per alcuni si tratta di angoscia quintessenziale adolescente. Per gli altri, però, tale mancanza di prospettive deriva da una vita di sogni infranti e da esperienze quotidiane difficili come il considerarsi cittadini di seconda classe nel proprio paese. La mancanza di prospettive non è chiaramente semplicemente la mancata occupazione o la discriminazione (sebbene uno non dovrebbe mai sottovalutarne l’impatto), si tratta di sentirsi intrappolati. Il jihadismo parla come nessuna altra ideologia agli ambienti formati da disadattati, scontenti, insoddisfatti, emarginati e schiacciati dalla società. Dibattiti febbrili sulla migrazione e sull’Islam, continueranno a determinare terreno fertile per la prossima evoluzione ideologica che prenderà il posto dell’Isis. Senza un approccio culturale serio, i messaggi radicali ed ultra-ortodossi continueranno a plasmare le future generazioni di terroristi. Come paradigma rivoluzionario della nostra epoca, il pensiero jihadista si rivolge a coloro che si sentono esclusi ed oppressi nel paese in cui vivono.
I fattori rigeneranti del terrorismo
La natura ciclica del terrorismo si basa su tre fattori rigeneranti. Il primo è legato all’esperienza storica delle organizzazioni radicali che sono riuscite a fondere la jihad con il terrorismo. I media occidentali hanno poi contribuito a perpetuare questa concezione errata. Sfruttando i conflitti locali si forma un’ideologia religiosa che si basa sul ripristino di una forma di califfato per un confronto con l’infedele Occidente. Il secondo fattore ruota attorno all’ideologia simile di questi gruppi che consente loro di raggiungere obiettivi generali condivisi senza un coordinamento organizzativo. La loro forza deriva dall’ideologia, non dai leader che possono essere eliminati. La forza centrale di queste organizzazioni è la loro base radicalmente islamica che ha un’ampia portata e che permette loro di continuare a produrre nuovi gruppi terroristici. Il terzo fattore di cui godono questi gruppi è la loro grande capacità di sfruttare le condizioni locali, come l’instabilità, i conflitti politici e settari. La forza militare è necessaria ma ha un effetto temporaneo poiché i terroristi sono in continua evoluzione e adattamento che a sua volta si traduce in longevità. Ancora oggi si ignora il piano dell’Occidente per azzerare i fattori rigeneranti alla base della natura ciclica del terrorismo. Ricordando il concetto di nebbia di Lawrence d’Arabia ed i pesci di Mao, il terrorismo è un’ideologia.
fonte Il Giornale