Appare evidente che i francesi stiano tentando di approfittare della distrazione del nostro sistema politico, dovuta alla campagna elettorale. Evidentemente a Parigi si teme che il nostro prossimo governo possa essere meno sensibile alle loro pressioni, e si tenta dunque di accelerare su tutti i fronti, in modo da guadagnare ancora terreno. La presenza francese in Italia è già fortissima, non solo sul piano della difesa, ma anche nei settori bancario, assicurativo, energetico, dei trasporti, delle infrastrutture, della grande distribuzione, dell’agroalimentare, della moda e del lusso. Proprio per questo motivo sarebbe bene affrontare con maggiore prudenza partite come il “Trattato Quirinale”, aspettando l’insediarsi di un governo dotato di piena legittimazione e difendendo, nel frattempo, le imprese italiane e i nostri interessi in Africa.
(di Fabio Squillante – Agenzia Nova ) Domani, primo febbraio, si terrà a Roma un’importante riunione sull’avanzamento del progetto di cooperazione nella cantieristica militare tra Fincantieri e Naval Group. Per la parte italiana, alla riunione parteciperanno i ministri della Difesa, Roberta Pinotti, dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, dell’Economia, Pier Carlo Padoan, l’Ad di Fincantieri, Giuseppe Bono, e il segretario generale della Difesa, generale Carlo Magrassi. Per la parte francese ci saranno invece il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, quello della Difesa, Florence Parly, il presidente e direttore generale di Naval Group, Hervé Guillou, e il direttore generale degli armamenti, Joel Barre. La riunione è importante non tanto per i contenuti – a quanto risulta non vi sarebbero decisioni da prendere – quanto piuttosto per l’enfasi che la parte francese le attribuisce, e soprattutto per il delicato contesto dei rapporti tra i due paesi. Un contesto di rinnovate tensioni su molti fronti: la missione militare italiana in Niger, tesa a puntellare quel paese e a controllare i flussi migratori tra Sahel e Libia; l’applicazione del “Golden power” su Tim e la sua controllata Telecom Italia Sparkle; il controllo di Leonardo-Finmeccanica, che i francesi vorrebbero fusa (e diluita) con Airbus e Thales; e infine il cosiddetto “Trattato del Quirinale”, che dovrebbe legare ancor più strettamente i destini dell’Italia a quelli della Francia, senza però che si possa aspirare ad un rapporto paritario, simile a quello franco-tedesco.
Lo scorso anno Fincantieri acquisì il controllo di Stx France, ma a luglio l’operazione venne bloccata dal presidente Emmanuel Macron, nei giorni in cui, peraltro, i francesi di Vivendi annunciavano la presa di controllo di Telecom Italia, ed il governo di Parigi sospendeva i lavori sulla linea ad alta velocità Torino-Lione. Contemporaneamente, altre frizioni si verificavano su dossier d’interesse strategico per l’Italia, come la stabilizzazione della Libia e la lotta ai trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo. L’ampiezza dell’iniziativa francese impressionò la nostra classe dirigente e spinse il governo ad una vigorosa reazione. I flussi migratori furono bruscamente ridotti, grazie all’azione del ministro dell’Interno, Marco Minniti. A Vivendi furono imposti stretti limiti nel controllo degli assetti strategici di Tim. L’accordo con Fincantieri fu rinegoziato, anche grazie alla tenacia di Bono, il quale ottenne il 50 per cento più 1 dei cantieri francesi, seppure con il decisivo 1 per cento assegnato in affitto per dodici anni, in attesa dell’acquisizione definitiva. Con il Niger, infine, è stato di recente concordato l’invio di 470 uomini con il compito di formare le forze locali, nelle attività di controllo del territorio e delle frontiere con la Libia. Nelle ultime settimane, tuttavia, approfittando dello scioglimento del parlamento e della campagna elettorale, i francesi hanno ripreso l’iniziativa su tutti i fronti.
Al governo uscente, guidato da Paolo Gentiloni, è stato proposto appunto un trattato bilaterale che, a quanto sembra di capire, dovrebbe garantire il coordinamento delle politiche dei due paesi sul piano politico ed economico, ma più concretamente in quello dell’industria della difesa. Della preparazione del trattato, il nostro governo non ha incaricato il ministero degli Esteri ma, due privati cittadini, ancorché autorevoli ex ministri: Franco Bassanini, consigliere della Presidenza del Consiglio e presidente di Open Fiber, e Paola Severino, rettrice dell’università Luiss. Sorprende, inoltre, il fatto che un passo di tale importanza per il futuro assetto geopolitico del nostro paese sia deciso da un governo uscente, come ha sottolineato il presidente dei deputati di Forza Italia, Renato Brunetta. L’irritazione dei nostri amici francesi per la missione italiana in Niger è emersa, invece, in una trasmissione di un’emittente pubblica transalpina – Radio France internationale – che ha dato voce ad un anonimo rappresentante del governo di Niamey, secondo il quale il governo nigerino non avrebbe approvato la missione. Una fandonia immediatamente smentita.
Sul fronte delle telecomunicazioni, gli azionisti di Vivendi hanno prima tentato un accordo con il governo sul “Golden power”, poi hanno fatto ricorso contro la sua applicazione al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Quest’ultima mossa è stata preceduta da voci sulle dimissioni del nuovo Ad del gruppo, l’israeliano Amos Genish, e dalle dimissioni – vere – del presidente Giuseppe Cecchi, l’unico italiano tra i rappresentanti non indipendenti di Vivendi in Cda, e dunque l’unico a poter avere le deleghe su sicurezza e Telecom Sparkle. Il ricorso straordinario al presidente presenta qualche rischio, poiché non è appellabile, e sembra difficile che Mattarella possa smentire così clamorosamente una decisione adottata dal governo italiano, su iniziativa di un ministro a lui così vicino come Carlo Calenda.
Il fronte più delicato, al momento, sembra essere quello di Leonardo. I francesi propongono una fusione a tre: Fincantieri, Naval Group e Thales: un’eventualità che preoccupa il vertice dell gruppo italiano della difesa, poiché le forniture militari ed elettroniche delle nostre navi sono garantite in buona parte proprio dalla ex Finmeccanica, che ha Thales come concorrente diretto nel settore. Per questo motivo l’Ad del gruppo, Alessandro Profumo, si è battuto affinché anche Leonardo fosse inclusa nella cooperazione italo-francese. Da allora l’ex banchiere, giunto in Finmeccanica per evitare lo spezzatino, è diventato inviso ai partner transalpini. L’11 novembre scorso una revisione piuttosto ordinaria degli obiettivi industriali e di bilancio ha provocato un crollo del 21 per cento delle azioni di Leonardo, e ieri, martedì 30 gennaio, dopo la presentazione del nuovo piano industriale, il titolo ha perso un altro 12 per cento. Scivoloni che sarebbero giustificati se il gruppo fosse in stato prefallimentare, non certo nelle attuali situazioni di piena sostenibilità. Ad accrescere le pressioni sull’Italia è stata, casualmente, la Commissione europea che giovedì 25 gennaio ha annunciato l’apertura di una procedura d’infrazione nei confronti del nostro paese, per le commesse assegnate dalla Marina militare e dal ministero dello Sviluppo economico a Fincantieri e Leonardo, sulla base della legge navale. Una decisione che minaccia ora tutta la nostra industria militare.