(di Massimiliano D’Elia) I servizi segreti inglesi sono certi: i militari russi sono ad un passo dall’umiliante sconfitta in Ucraina, hanno già perso il 25 per cento della loro capacità bellica.
I riscontri che si desumono dal bollettino pubblicato ieri da Londra raccontano che gli ucraini, grazie alle armi e al know how occidentale, sono riusciti a distruggere gran parte dei vecchi armamenti ex Unione Sovietica ma anche almeno un esemplare del modernissimo e più potente carro armato russo, il T-90M. Chiaro segnale che Mosca è in seria difficoltà perché ha solo cento T-90M e non riesce a riprodurli come vorrebbe per via delle sanzioni che la privano della componentistica dell’alta tecnologia non prodotta internamente. Una difficoltà diffusa ampiamente in tutti i settori più cruciali e vitali dell’economia che si riflette inesorabilmente, seppur ancora non in maniera marcata, anche sulla quotidianità della popolazione russa.
Ritornando al campo militare, il più cauto e previdente capo della Cia, William Burns sostiene che Putin non potendo permettersi di perdere, per ora ha raddoppiato gli sforzi sul terreno con l’intenzione di raggiungere, quanto prima, tutti gli obiettivi prefissati. Mosca ha cambiato strategia bombardando a tappeto il territorio nemico per far avanzare i suoi mezzi solo e soltanto dopo aver avuto la certezza di aver annientato le difese ucraine. In futuro, in caso di ulteriori difficoltà e depauperamento di forze, potrebbe, però, ricorrere ad armi strategiche letali. Come noto, la sconfitta nel suo vocabolario non esiste.
Burns, per la prima volta, ammette anche che la crisi in Ucraina è seguita molto attentamente dalla leadership cinese, non in funzione di sostegno alla Russia ma per apprendere lezioni dai campi di battaglia per poter poi ambire un giorno alla presa con la forza di Taiwan.
Il 9 maggio, mentre Mosca celebrerà la vittoria sul nazismo, con tanto di parata militare e con riferimenti espliciti al simbolo della guerra la “Z” (nelle prove della parata gli aerei dell’aeronautica hanno disegnato in cielo una enorme Zeta), i sette grandi, insieme con Zelensky, si incontreranno in videoconferenza per discutere della guerra e delle prossime mosse/risorse/armi da mettere in campo.
Le analisi americane, come visto, sono più caute rispetto a quelle britanniche. E’ dovuto scendere nell’arena mediatica anche il presidente Biden per ammonire la stampa di non pubblicare le soffiate ottenute dall’intelligence a stelle e strisce, come le notizie sull’affondamento della nave russa Moskva e sull’uccisione di una decina di generali del Cremlino.
Draghi vola negli Usa
Il presidente del Consiglio italiano vola per la prima volta, in veste ufficiale, negli Stati Uniti. Tanti i temi sul tavolo, la guerra in Ucraina, la collaborazione energetica, i rapporti con la Cina, la Libia, la lotta alla pandemia, ai cambiamenti climatici e alla fame nel mondo.
Draghi proverà a portare la voce dell’Ue nel solco delle linee già tracciate ai parlamentari comunitari dove l’Italia punta a disinnescare il dibattito sulle armi e a insistere su embargo e sanzioni, sempre ancorati alle posizioni della Nato, ma nella consapevolezza che l’Europa deve avere un suo ruolo.
A chiarire meglio la situazione delle ultime ore ci ha pensato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio: “Dopo aver aperto alla neutralità dell’Ucraina, Zelensky ora ha detto di essere disposto a considerare la Crimea fuori dell’accordo di pace. Ora Putin deve dimostrare di volersi sedere al tavolo delle trattative. Per noi il sostegno a Kiev è nell’ambito del principio di legittima difesa, non oltre“.
Risposta a sorpresa senza l’avallo dei Paesi dell’Alleanza. Ieri il segretario generale della Nato, Jean Stoltenberg, ha detto, invece, che l’Alleanza Atlantica non accetterà mai né l’annessione illegale della Crimea, né il controllo russo sul Donbass e l’Est della Ucraina.
La risposta al vetriolo di Mosca. Immediata la risposta di Mosca che fatto sapere di non voler rinunciare alla Crimea e al Donbass, ma intende riportare sotto di sé sia la regione di Kherson, sia tutta la zona intorno a Mariupol. Chiara l’intenzione di Mosca di controllare tutta la costa che si affaccia sul Mar d’Azov per sterilizzare economicamente sul nascere una probabile Ucraina neutrale e filo-occidentale.
Dossier energetico
Sul campo energico gli Stati Uniti spingeranno sull’embargo totale europeo al gas russo, argomento al momento non ricevibile dal governo italiano e tedesco, perché i due Paesi dipendono oltre il 40 per cento da gas di Mosca. Il gas liquido trasportabile (gnl) via nave, proposto dagli americani, è molto costoso e richiede successivamente per la trasformazione l’utilizzo di rigassificatori moderni. In Italia ne abbiamo pochi e costruirne altri richiederebbe molto tempo ed ulteriori finanziamenti. Per quanto riguarda questa fonte energetica alternativa l’Italia guarda al Qatar, che è già il suo primo fornitore di gnl, ma anche all’Egitto. Altri 5 miliardi di metri cubi dovrebbero arrivare dal Congo nel 2023-2024.
Il gnl può essere usato solo dopo essere stato trattato nei rigassificatori, ma Cingolani ha detto a Sky TG24 che questo non è un problema anche perché si può ricorrere alle strutture galleggianti. “La nave la ormeggi dove c’è un tubo del gas e ce ne sono diversi in Italia di punti di innesco. Si compra o si affitta per 400-500 milioni, dà 5 miliardi di metri cubi l’anno e sappiamo che quando la transizione sarà andata avanti, la nave la mandi via”, ha dichiarato, aggiungendo che la prima di queste strutture dovrebbe arrivare nel primo semestre del 2023. Oltre a nuove strutture, si pensa di potenziare anche quelle esistenti. Secondo quanto si apprende da ENI, saranno aumentate di 6 miliardi di metri cubi le quantità di gnl trattate nei tre impianti esistenti a Panigaglia, al largo di Rovigo e Livorno. A questo, si dovrebbe aggiungere un aumento della produzione nazionale di 2,2 miliardi di metri cubi in aree quali Cassiopea, Canale di Sicilia e Marche. Un altro aiuto potrebbe arrivare dallo sviluppo del biometano e delle fonti rinnovabili. I nuovi progetti rinnovabili fino a 8 GW l’anno potrebbero portare a un risparmio di 3 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno, ma hanno bisogno di tempo per la realizzazione e l’adeguamento della rete. Infine dallo sviluppo del biometano c’è un potenziale di risparmio di circa 2,5 metri cubi l’anno. Poca roba….!
L’Italia nel frattempo ha anche stretto nuovi accordi e collaborazioni con paesi africani per le forniture di gas e petrolio. I Paesi coi quali l’Italia starebbe trattando al momento per nuove forniture sono sette. Nell’elenco ci sono Algeria, Qatar, Congo, Angola, Libia, Mozambico, e Azerbaijan che si sarebbe impegnato “da solo” a fornire altri 2,5 miliardi di metri cubi di gas naturale. Ansa sull’Azerbaijan riporta che “sarebbe in corso un’analisi di mercato per il raddoppio del gas trasportato fino a 20 miliardi di metri cubi che, in caso di esito positivo, richiederebbe circa 4 anni per la realizzazione, senza bisogno di nuove infrastrutture“.
Tutte le iniziative prospettate renderebbero l’Italia “indipendente” dal gas russo non prima del 2024-25.