I russi avanzano, conquistano nuove città dopo averle rase al suolo: Mariupol, Severodonetsk, Lysychansk e ora si stanno concentrando su Kramatorsk. I missili di Putin lambiscono di nuovo Kiev, Kharkiv e Cherkasy, ma anche i centri di addestramento dei volontari, nella regione di Leopoli.
I sette grandi ieri da Berlino hanno deciso di applicare l’embargo all’oro russo per colpire il cuore della macchina da guerra di Putin. La decisione dopo aver constatato che i pacchetti di sanzioni varati fino ad ora non hanno fermato l’esercito russo. Congelare le riserve estere della banca centrale ed escludere le istituzioni finanziarie di Mosca dal circuito Swift, sono tutte misure che avrebbero dovuto paralizzare l’economia russa, invece, hanno solo indotto Putin a vendere sul mercato clandestino il petrolio a Cina ed India e forse anche alla Turchia che ricordiamo essere un Paese della Nato.
Anche se la Russia è a rischio default l’ulteriore embargo all’oro, molto probabilmente, non funzionerà perchè i Paesi asiatici e tanti del Medioriente continueranno a comprare “sottobanco” le materie di cui la Russia detiene la prevalenza mondiale, come alluminio ed oro, appunto.
L’oro è la seconda più grande fonte di reddito da export per la Russia dopo l’energia. Mosca produce ogni anno circa il 10% dell’estrazione a livello mondiale. Non tutti sanno che oltre al gas, petrolio, all’alluminio ed oro la Russia ha le riserve auree tra le più imponenti, per un valore stimato di oltre 1.40 miliardi di dollari, che ha usato, oggi, come leva finanziaria per contrastare l’esclusione del suo sistema bancario dal sistema Swift.
Gli analisti economici sono però titubanti sull’embargo all’oro russo perchè potrebbe aumentarne il prezzo a dismisura negli scambi a livello mondiale. Un’altra arma a favore di Mosca e Pechino che utilizzano il prezioso metallo come collaterale delle proprie valute. Gli stessi oligarchi russi comprano e vendono tramite la nuova moneta: l’oro.
In questo nuovo ordine economico nell’ultimo vertice anche i Paesi Brics — Cina, India, Russia, Sudafrica e Brasile — hanno pensato che fosse arrivato il momento di sostituire il dollaro nelle transazioni a livello globale per quanto riguarda le risorse energetiche e le materie prime.
D’altronde l’Arabia Saudita, principale produttore di greggio al mondo, ha avviato, mesi fa, gli scambi in yuan cinese. Una prima avvisaglia per l’intero mondo Occidentale.
Ritornando all’oro, scrive Corsera che la maggior parte dell’oro viene acquistato dalle banche commerciali russe che lo inviano ai raffinatori prima di venderlo all’estero o alla banca centrale russa, che il 27 febbraio scorso, non a caso, ha dichiarato di voler riprendere gli acquisti di oro sul mercato per dare stabilità alla propria valuta. Riserve che stanno aiutando Mosca ad aggirare le sanzioni vendendo i suoi lingotti. Come successo in Svizzera a maggio quando sono entrate 3,1 tonnellate di oro di origine russa per un controvalore di quasi 200 milioni di franchi. Lingotti destinati ad essere fusi per cui l’Ufficio federale elvetico della dogana ha comunicato di aver aperto un’inchiesta.
Le sanzioni occidentali contro la Russia non hanno finora preso di mira gli scambi commerciali in oro, ma molti istituti, spedizionieri e raffinatori hanno smesso di trattare il metallo russo dopo l’inizio del conflitto. La London Bullion Market Association ha deciso di togliere alle raffinerie russe il bollino «Good Delivery». Un marchio che serve a indicare i lingotti vendibili per scopi finanziari. Il metallo russo continua però a trovare acquirenti: dalla Cina al Medio Oriente. Per decenni la Svizzera è stata l’Eldorado degli intermediari di materie prime, al seguito delle aziende statali del Cremlino. Ma dopo l’allineamento di Berna alle sanzioni occidentali la mappa sta cambiando. Lo snodo ora sta diventando Dubai.