Il neo portavoce del presidente Michel è della Moldavia, un segnale forte per l’adesione del Paese nell’Ue

(di Roberta LucchiniCoordinatrice Dipartimento Studi e Formazione, Istituto Diplomatico Internazionale) Il processo di avvicinamento della Repubblica di Moldavia all’Unione europea, iniziato pochi anni dopo la dichiarazione di indipendenza dalla ex Unione Sovietica, sul finire del 1991, si arricchisce, in questi giorni, di un ulteriore tassello. Dal prossimo mese di agosto, infatti, Ecaterina Casinge, capo di gabinetto della presidente moldava Maia Sandu, assumerà l’incarico di portavoce del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, sostituendo il suo storico collaboratore, Barend Leyts. La notizia – finora praticamente ignorata dai media italiani – si è diffusa lo scorso 14 luglio, quando, attraverso un comunicato stampa apparso sul sito web del Consiglio europeo, si è appreso che Leyts entrerà nel gabinetto del Primo Ministro belga, Alexander De Croo, in qualità di direttore della comunicazione. 

I commenti sulla vicenda si sono per lo più incentrati sui retroscena di questo allontanamento, non essendo tra l’altro emerso se frutto di una scelta volontaria del diretto interessato oppure causato da un progressivo logoramento dei rapporti di collaborazione – tra l’altro risalenti al 2014 – fra Michel e il suo storico portavoce. La testata politico.eu, ad esempio, nel ricostruire la vicenda con il consueto approccio giornalistico che condisce la cronaca europea, supportata da fonti interne alle istituzioni, con un’accattivante dose di gossip, per l’appunto, politico, sembrerebbe attribuire ad una scarsa abilità di Leyts la grande tensione occorsa nei rapporti fra Michel e Ursula von der Leyen, particolarmente accentuatasi dopo lo scandalo del “Sofagate”. 

Tant’è: qualunque sia la ragione dell’abbandono, sembrano più interessanti, al momento, alcune questioni che di sicuro sottendono alla nomina della nuova incaricata. La quale, dopo una laurea in economia e un master in relazioni internazionali e comunicazione, ha lavorato presso il PPE quale Senior Adviser for Media Relations e collaborato, in qualità di Communications Adviser, con l’eurodeputato rumeno Siegfried Mureşan, oggi presidente della delegazione del Parlamento europeo al Comitato di associazione parlamentare UE-Moldavia. Inoltre, nello stesso periodo, ha svolto funzioni di redattrice presso la testata online EURACTIV

Ciò che colpisce, nella vicenda della nomina è, per l’appunto, l’attuale incarico della Casinge che, di fatto, dall’11 luglio 2022, dirige l’ufficio del Presidente della Repubblica di un Paese terzo rispetto all’Unione europea. Non vi è chi non si chieda se, nel ricco portafoglio di professionalità interne alla UE, non vi fosse la possibilità di individuarne una all’altezza di ricoprire il posto liberatosi al fianco di Michel; e, soprattutto, se non se ne potesse scegliere una della stessa parte politica di quest’ultimo. Com’è noto, infatti, egli è espressione del raggruppamento liberale Renew Europe, nato nel 2019 dalla confluenza del partito di Emmanuel Macron, La République en Marche, insieme ad ALDE e PDE, mentre, come accennato, la Casinge ha, nel novero dei suoi trascorsi brussellesi, una certa familiarità con il PPE. Tra l’altro, secondo il diritto dell’Unione europea e ai fini dell’assunzione nel posto di lavoro di cui trattiamo, non rileva l’eventuale cittadinanza di un Paese terzo del candidato. Infatti, la regola generale che impone il requisito della cittadinanza dell’Unione, vale a dire quella di uno degli Stati membri, per impiegarsi presso le istituzioni europee, anche in qualità di agente temporaneo, è soggetta a deroga, concessa dall’autorità abilitata, presso ciascuna istituzione, a concludere i contratti. È quanto stabilisce il Regime applicabile agli altri Agenti dell’Unione europea, che si occupa, tra gli altri, degli assunti per svolgere funzioni presso un presidente eletto di una istituzione, presso un gruppo politico del Parlamento europeo o quale assistente parlamentare. Nel caso del Consiglio europeo, poi, è probabile che l’autorità investita del potere di deroga sia stata individuata nel suo stesso presidente, vale a dire in Michel. Non si può tuttavia escludere che, nel caso di specie, non si faccia luogo a deroghe, visto che Casinge, salvo l’aver dalla nascita una doppia cittadinanza, ha speso 14 anni negli incarichi sopra descritti, come riportato anche da fonti di stampa moldave, verosimilmente soggiornando nella capitale belga. Avrebbe, dunque, facilmente potuto centrare le condizioni previste dalla legislazione del Regno per assumerne la cittadinanza.

Comunque sia, una questione quale quella descritta non può derubricarsi ad un semplice avvicendamento, peraltro fisiologico, in seno ad una istituzione dell’Unione europea. Va piuttosto analizzata nel più vasto ambito dei rapporti di vicinato intrattenuti con Paesi terzi, per giunta in un quadrante particolarmente insidioso, qual è l’incandescente confine orientale dell’Unione europea. Del resto, quanto le relazioni con la Repubblica di Moldavia siano considerate sensibili e degne di attenzione, lo dimostra l’accelerazione verso il processo di adesione, il cui propellente è rappresentato dall’invasione russa ai danni dell’Ucraina e di cui la nomina di Casinge non può che leggersi come ulteriore, più recente manifestazione. Per ricostruire le origini del detto processo, bisogna tornare indietro di circa trent’anni, vale a dire all’accordo di partenariato e di cooperazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Moldavia, dall’altra, firmato a Bruxelles il 28 novembre 1994 e rinnovato nel 1998. Il successivo approfondimento delle relazioni bilaterali si concretizzò nell’accordo di associazione, comprendente una zona di libero scambio globale e approfondita (DCFTA), entrato pienamente in vigore nel 2016 ma negoziato fra il 2013 e 2014, proprio mentre, nella confinante Ucraina, si scatenavano le proteste, note come Euromaidan, contro l’interruzione, da parte del presidente Janukovic, delle trattative per un analogo accordo. Il DCFTA ha instaurato un dialogo assiduo con l’Unione, volto anzitutto a favorire riforme mirate a centrare le “aspirazioni europee” della Moldavia, perseguendo una graduale integrazione economica ed associazione politica, nel rispetto delle libertà fondamentali, dei diritti umani e in particolare di quelli delle minoranze, dell’applicazione dei principi democratici, dello Stato di diritto e del buon governo. Problematiche, queste, costantemente discusse nel corso dei Consigli di associazione, previsti dall’accordo, l’ultimo dei quali, il settimo, si è tenuto lo scorso febbraio. Tutto ciò, tradotto in termini monetari, ha comportato, per il periodo 2014-2021, la concessione di 512 milioni di Euro quali sovvenzioni provenienti dallo European Neighbourhood Instrument e 160 millioni imputati al Macro-Financial Assistance Programme quali prestiti e sovvenzioni per lo sviluppo socio-economico (fonte: Commissione europea). 

Dall’inizio della guerra in Ucraina, poi, ulteriori iniziative sono state messe in campo, la più significativa ed emblematica delle quali è stata la concessione dello status di Paese candidato all’adesione, nel Consiglio europeo del giugno 2022, a seguito della domanda inoltrata il 3 marzo 2022, pochi giorni dopo l’inizio dell’“operazione speciale” russa su suolo ucraino. A fronte, poi, di un flusso di circa 450.000 rifugiati, sfuggiti alla guerra, su una popolazione di 2 milioni 600 mila abitanti, il sostegno dell’UE si è concentrato sugli aiuti umanitari (13 milioni di Euro), sul sostegno alle persone in fuga dall’invasione (15 milioni di euro) e la gestione delle frontiere (15 milioni di euro). A queste somme, si sono aggiunti, fino al 2022, secondo i dati forniti dalla Commissione europea, circa 400 milioni di Euro, per sostenere il bilancio, la sicurezza e l’efficienza energetica, la cybersecurity a e la lotta alla disinformazione, la modernizzazione delle forze armate per aiutare i civili in crisi, l’indipendenza dei media, l’assistenza macrofinanziaria, il sostegno sulla strada della resilienza, della ripresa e delle riforme. Restano tuttavia diversi problemi aperti, in relazione alla riforma della giustizia, alla lotta contro la corruzione e contro le ingerenze di interessi forti sulla vita politica, economica e pubblica, alla lotta alla criminalità organizzata, al rafforzamento della protezione delle minoranze vulnerabili, compreso il rispetto della parità di genere e alla persecuzione della violenza contro le donne. 

Grande fiducia è, in ogni caso, riposta nella linea fortemente europeista della presidente Sandu, sostenuta anche da un Parlamento, rinnovato nel 2021, in cui prevale il filo-europeo Partito di Azione e Solidarietà (PAS). Il grande allarme lanciato, poi, lo scorso febbraio per il sospetto di un colpo di Stato, sostenuto dal Cremlino, e che è senz’altro fra le motivazioni alla base della decisione del governo moldavo, assunta poche ore fa, di ridurre il personale d’ambasciata russo da 84 a 25 unità, non ha fatto che intensificare gli incontri al vertice, già incrementati dallo scorso anno, con i presidenti di Commissione e Consiglio europeo, vuoi a Bruxelles vuoi a Chisinau, dove, emblematicamente, si è tenuto, lo scorso 1° giugno, il secondo incontro della Comunità politica europea, con la partecipazione di 45 capi di Stato e di governo. Tangibile, dunque, è la prova di un interesse reciproco a consolidare l’integrazione: “Crediamo di poter salvare la nostra democrazia solo entrando a far parte dell’UE”, ha del resto dichiarato la Sandu poche ore prima dall’inizio dell’incontro della CPE. 

L’Unione, per proprio conto, ha tutta l’intenzione di non lasciare, alla Russia, ulteriori aree di espansione, anche se si tratti, a colpi di “€uro suasion” e disseminando valori e buone pratiche, di risollevare dalla povertà estrema uno dei Paesi europei dagli indicatori economici più bassi e dall’arretratezza più marcata (a titolo orientativo, PIL pro capite all’aprile 2023: 6.340 USD contro una media europea di 34.000 USD, secondo i dati del FMI), quale, appunto è la Moldavia. Sul cui territorio, tuttavia, insiste anche la scottante realtà della Transnistria, regione filorussa autoproclamatasi indipendente già dal 1990, che nel 2014 ha chiesto l’annessione alla Federazione russa (rifiutata da Putin) e per la quale l’Unione europea prefigura, invece, uno status speciale, all’interno però dei confini internazionalmente riconosciuti della Moldavia. Essa ospita sul proprio territorio un contingente di circa1500 militari russi, è energeticamente dipendente dalla Russia, ma il 67% del suo export è destinato all’Unione europea (fonte: ICE-ITA). Di sicuro, i progetti moldavi ed europei di ingresso nell’Unione non potranno prescindere dalla normalizzazione di questa situazione interna, che rischia di riproporre un copione analogo a quello già vissuto in Donbass, sebbene il territorio moldavo, a differenza di quello ucraino, sia meno appetibile in termini di vastità e di ricchezza di materie prime.

Ben maggiore, dunque, rispetto alle congetture scandalistiche sulle dinamiche interne agli uffici di Bruxelles è la partita, ad alta tensione geopolitica, che si gioca sulla testa della Casinge: buon lavoro a lei, buona fortuna al nostro Continente.

Subscribe to our newsletter!

Il neo portavoce del presidente Michel è della Moldavia, un segnale forte per l’adesione del Paese nell’Ue