Se i titolari d’azienda italiani faticano a lasciarsi alle spalle le difficoltà economiche subite in questi ultimi anni, l’imprenditoria straniera presente nel nostro Paese, invece, gode di buona salute. Almeno in termini di numerosità, quest’ ultima continua ad aumentare.
Al 31 dicembre 2017, fa sapere l’Ufficio studi della CGIA, gli imprenditori stranieri (soci, titolari, amministratori, etc.) operanti in Italia hanno toccato quota 805.477 (+ 2,5 per cento rispetto al 2016) e l’etnia più numerosa è diventata quella cinese.
Alla fine dell’anno scorso, infatti, gli imprenditori cinesi alla guida di una attività in Italia erano 80.514, seguiti da 79.391 marocchini, da 77.082 romeni e da 46.974 albanesi.
Nel complesso l’imprenditoria straniera aumenta e nel 2017 è stata pari all’ 8,8 per cento del totale Italia; nel 2009 la quota era del 6,2 per cento (in termini assoluti pari a 599.036). Nello stesso arco temporale, invece, gli imprenditori italiani (soci, titolari, amministratori, etc.) sono scesi da 8,9 a meno di 8,3 milioni (pari al – 7,5 per cento).
In questa nota l’imprenditoria cinese è al centro dell’interesse dell’Ufficio studi della CGIA. Si pensi che rispetto al 2009, le attività economiche guidate da cinesi presenti in Italia sono aumentate addirittura del 61,5 per cento, contro un incremento medio dell’imprenditoria straniera presente in Italia che si è attestata al 34,5 per cento.
“Sebbene in alcune aree del nostro Paese esistono delle sacche di illegalità riconducibili all’imprenditoria cinese che alimentano l’economia sommersa e il mercato della contraffazione – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – non dobbiamo dimenticare che da sempre i migranti cinesi si sono contraddistinti per una forte vocazione alle attività di business. Nel momento in cui lasciano il Paese d’origine, infatti, sono tra gli stranieri più abili nell’impiegare le reti etniche per realizzare il loro progetto migratorio che si realizza con l’apertura di un’attività economica”.
I settori maggiormente interessati dalla presenza degli imprenditori provenienti dall’ “impero celeste” sono il commercio/venditori ambulanti, con 26.200 titolari, il manifatturiero, con poco più di 20.000 soggetti (quasi tutti impiegati nel tessile-abbigliamento e calzature) e la ristorazione-alberghi e bar, con oltre 18.000 imprenditori.
Ancora contenuta, ma con un trend di crescita molto importante, è la presenza di imprenditori cinesi nel settore dei servizi alla persona, ovvero tra i parrucchieri, le estetiste e i centri massaggi: il numero totale sfiora le 6.000 persone, ma tra il 2016 ed il 2017 l’aumento è stato di quasi il 10 per cento.
La vocazione imprenditoriale dei migranti cinesi, come dicevamo, è fortissima. Se l’incidenza degli imprenditori stranieri sul totale dei residenti stranieri presenti in Italia è pari al 15,7 per cento, quelli cinesi sono addirittura il 27,7 per cento: su oltre 290.600 cinesi residenti in Italia, ben 80.500 guidano un’attività economica.
“Da sempre – afferma il segretario Renato Mason – le principali aree di provenienza dei migranti cinesi sono le province del Sud Est del paese: Zhejiang, Fujian, Guangdong e Hainan. Per queste persone, la ricerca del successo si trasforma in una specie di debito morale nei confronti della famiglia allargata e degli amici che da sempre costituiscono un sostegno irrinunciabile per chi vuole emigrare”.
La Lombardia, con oltre 18.800 imprenditori, è la regione più popolata da aziende guidate da cinesi: seguono la Toscana, con quasi 14.000, il Veneto, con oltre 9.600 e l’Emilia Romagna, con poco più di 8.100. In queste quattro Regioni si concentra oltre il 62 per cento del totale degli imprenditori cinesi presenti nel nostro Paese.
Nel 2017, infine, l’ammontare complessivo delle somme di denaro inviate verso il Paese d’origine dagli immigrati cinesi presenti in Italia è stato di 136 milioni di euro. Nulla a che vedere con quanto era successo nel 2012, anno in cui erano stati inviati in Cina ben 2,6 miliardi di euro. Questo crollo può essere spiegato da un lato con la maggiore propensione degli immigrati cinesi ad investire in Italia, riducendo i legami con il paese d’origine, dall’altro con l’intensificazione dei controlli sulle transazioni (money transfer), volti a diminuire gli utilizzi impropri di questo canale.