Israele-Hamas: What’s next?

(di Massimiliano D’Elia) Israele si sta vendicando dopo il vile attacco di Hamas del 7 settembre scorso, sferrando un attacco implacabile alla Striscia di Gaza (operazione spada di ferro) con il solo obiettivo di sradicare definitivamente il gruppo di miliziani al governo dal 2006. Semmai dovesse riuscire a vincere la guerra cosa avverrà dopo? Ad oggi non si è ancora parlato o ragionato del dopo, ovvero quando verranno raggiunti tutti gli obiettivi di Tel Aviv e quando si dovrà decidere del destino di 2,3 milioni di palestinesi che risiedono all’interno di Gaza.

Martedì scorso il direttore del Consiglio di sicurezza nazionale israeliano Tzachi Hanegbi ha così commentato sul post conflict: “Stiamo ovviamente pensando e affrontando la questione, e questo comporta valutazioni da parte del  Consiglio di sicurezza nazionale, dei militari e altri  attori. Non sappiamo con certezza quale sarà, ma quello che sappiamo è quello che non ci sarà“, riferendosi all’obiettivo dichiarato di Israele di sradicare Hamas.

Israele, di fatto,  questa volta non vuole e non può sbagliare perché deve vendicare agli occhi del suo popolo le 1400 vittime del 7 settembre e riacquistare la reputazione internazionale dopo la debolezza predittiva (mai successo prima) della sua intelligence.

Ha pertanto richiamato da mezzo mondo i suoi 360.000 riservisti e ha iniziato a bombare senza sosta la piccola enclave palestinese.

L’annunciata invasione  di terra israeliana non è ancora iniziata ma, secondo le autorità di Gaza, sarebbero già  3.500 i palestinesi uccisi dai bombardamenti aerei, di cui circa un terzo sarebbero bambini, segnando un record rispetto a qualsiasi altro precedente conflitto tra Hamas e Israele.

La strategia israeliana dichiarata è, pertanto, quella di distruggere le infrastrutture di Gaza, anche a costo di un elevato numero di vittime civili, spingere la popolazione dell’enclave verso il confine egiziano e dare la caccia ad Hamas facendo esplodere il labirinto di tunnel sotterranei che il gruppo paramilitare ha costruito nel tempo per condurre le sue operazioni.

Il ruolo saggio della Casa Bianca

Alla Casa Bianca e all’interno del mondo arabo sorgono alcuni dubbi e si alimenta la preoccupazione. Si teme che Israele, pur avendo elaborato un piano efficace per infliggere danni duraturi ad Hamas, non abbia ancora formulato una exit strategy successiva al conflitto.

Biden, ieri in visita ad Israele, ha detto che anche se è necessario rendere giustizia ad Hamas occorre evitare di commettere errori come quelli commessi dagli americani a seguito degli attacchi dell’11 settembre 2001 (Afghanistan ndr). Biden ha poi voluto precisare che la “grande maggioranza dei palestinesi non è Hamas. Hamas non rappresenta il popolo palestinese”.

La visita di Biden a Tel Aviv, secondo gli esperti, sarebbe stata organizzata  per far riflettere Benjamin Netanyahu su questioni come l’uso proporzionale della forza e i piani a lungo termine per Gaza prima di iniziare l’invasione di terra.

La guerriglia urbana che spaventa i militari

È una città sotterranea di tunnel che fanno sembrare quelli dei Vietcong un gioco da ragazzi“, ha detto un esperto regionale, riferendosi alla guerriglia comunista che sfidò le truppe statunitensi in Vietnam. Altri esperti militari del luogo hanno detto a Reuters che il braccio armato di Hamas, le Brigate Ezzedine al-Qassam, si sono organizzate per contrastare l’invasione, piazzando mine anticarro e trappole esplosive per tendere imboscate alle forze nemiche.

Anche a Washington nutrono dubbi sul completo successo dei militari israeliani, ovvero sul possibilità che riescano a distruggere completamente Hamas.  Sempre  alla Casa Bianca non pensano che Israele voglia mantenere il territorio di Gaza o rioccuparlo.

L’intera regione in fermento

In tutta la regione si teme che la guerra possa esplodere oltre i confini di Gaza, con gli Hezbollah libanesi, sostenuti dall’Iran che potrebbero aprire nuovi fronti a sostegno di Hamas.

Il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian ha avvertito di una possibile azione “preventiva” contro Israele se quest’ultimo effettuerà l’invasione di Gaza. Lo scorso fine settimana ha dichiarato che l’Iran non sarebbe rimasto a guardare in disparte se gli Stati Uniti non fossero riusciti a frenare Israele.

I leader arabi hanno riferito al Segretario di Stato Usa, Antony Blinken che, pur condannando l’attacco di Hamas contro Israele, si oppongono alla punizione collettiva contro i palestinesi comuni.

Per scongiurare velleità da parte di Hezbollah dal Libano e dei gruppi paramilitari dalla Siria (sempre foraggiati da Teheran) Washington ha inviato due sue portaerei (USS Eisenhower e G. Ford) nel Mediterraneo orientale, anche se non c’è alcun segnale che l’esercito americano possa passare da una posizione di deterrenza ad un coinvolgimento diretto.

Secondo fonti regionali, Washington starebbe proponendo di rivitalizzare l’Autorità Palestinese (AP), che ha perso il controllo di Gaza a favore di Hamas nel 2007, sebbene vi siano forti dubbi sulla capacità dell’AP o di qualsiasi altra autorità di governare l’enclave costiera nel caso in cui Hamas venga annientato, ovvero ridotto “al lumicino”.

Si ragiona, pertanto, su un possibile intervento dell’Onu come collante tra l’Autorità Palestinese, i sauditi e gli egiziani, oppure sull’intervento di una coalizione a guida da Usa e Ue per una missione di peace enforcing per cercare di far rinascere una Striscia di Gaza libera e senza recinti per poi iniziare un processo di distensione ispirato agli Accordi di Abramo del 2020.  Forse sono dei ragionamenti troppo utopici perchè sono già trascorsi 75 anni tra guerre e continue tensioni per cercare di sbrogliare una matassa troppo annodata, i cui fili vengono tirati o distesi da diversi attori non solo regionali.

Nel frattempo, gli appelli per la creazione di corridoi umanitari all’interno di Gaza e di vie di fuga per i civili palestinesi hanno suscitato una forte reazione da parte dei vicini arabi, perché si teme  che un’invasione israeliana possa scatenare una nuova ondata permanente di sfollamenti di massa.

Nel frattempo Il valico di Rafah fra Gaza ed Egitto è stato aperto. Lo riferiscono fonti locali secondo cui al suo interno sono adesso in corso i preparativi logistici per introdurre a Gaza aiuti umanitari e per consentire l’uscita di cittadini stranieri e di palestinesi con doppia nazionalità.

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