Da giorni stiamo trattando la questione della Libia avanzando l’ipotesi che anche questa volta Parigi, in maniera aggressiva, voglia mettere Roma nell’angolo e vanificare il prossimo incontro tra i leader libici in Italia a Sciacca a novembre. Altro obiettivo francese è fare fuori l’Ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Perrone, reo di aver dato la sua versione sulle prossime elezioni del 10 dicembre in Libia, orchestrate da Macron nell’ormai noto incontro di Parigi tra Al Sarraj e Kalifa Haftar. L’ambasciatore Perrone sostiene che “le elezioni richiedono una serie di passi preventivi in mancanza dei quali si crea caos e conflitto”. Altra questione che ha innervosito Macron è il sostegno ricevuto dal premier Giuseppe Conte da Trump sul “dossier” Libia.
La Stampa scrive che fonti ben informate hanno evidenziato che l’offensiva francese sulla Libia ha registrato un’accelerata lunedì, quando Emmanuel Macron ha ribadito la sua determinazione a portare avanti l’accordo di Parigi con la chiamata alle urne il 10 dicembre, con l’appoggio del parlamento di Tobruk, dove il presidente Águila Saleh minaccia di attivare l’articolo 5 del 2014, quello che permette al Parlamento di indire elezioni senza Costituzione.
I francesi hanno anche già individuato un candidato da affiancare a Khalifa Haftar, ArefAU Nayed, fedelissimo del generale e ambasciatore libico negli Emirati. L’obiettivo di Macron è chiaro, dicono fonti libiche, ovvero indire elezioni farsa, consegnare la vittoria a uomini di fiducia per comandare la Libia. La Stampa poi scrive che il sito Africa Intelligence, vicino a Parigi, ha pubblicato un articolo dal titolo “L’Italia pronta a sacrificare Perrone per fare un piacere ad Haftar”.
Perrone invece è molto apprezzato dal consiglio presidenziale. Lo affermano fonti di Tripoli in risposta alle indiscrezioni su un presunto richiamo dell’ambasciatore da parte del governo giallo-verde, nell’ambito di un rimpasto di intelligence e diplomazia sul dossier.
Parigi starebbe alimentando le tensioni di questi giorni, con pericolose dimostrazioni a Mellitha, terminal petrolifero Eni, che le formazioni di Zuwara sono riuscite a neutralizzare. Ma è chiaro che la minaccia dei Madkhali si va estendendo da Sabrata e Surman verso Tripoli. C’è poi la rivolta degli al-Kany di Tarhuna, un tempo alleati di Fayez al Sarraj e considerati filoitaliani. E l’insofferenza di Misurata per i taglieggiamenti delle formazioni tripolitine ai danni del governo di accordo nazionale per il controllo di denaro e territorio. Coloro i quali non vogliono una Libia libera e puntano ad una sollevazione, sfruttando i conflitti locali e le contraddizioni del Gna, facendo accordi con varie fazioni grazie ad un gruppo di ufficiali di Bengasi infiltrati a Tripoli da oltre un mese, e cercando di penetrare le moschee, spiega Agenfor International, fondazione di analisi globali. Un quadro di instabilità che conferma come indire elezioni ora sarebbe deflagrante e utile solo alla Francia che vuole imporre la sua egemonia in Libia. Questa organizzazione “sinistra” già sta pensando di riaprire il rubinetto dei flussi dei migranti verso l’Europa per distogliere l’Italia e l’Ue dal vero affare, la Libia, appunto.