di Antonio Adriano Giancane
Il Venezuela è di nuovo in fermento dopo la rielezione di Nicolás Maduro alla presidenza, un risultato che ha scatenato una serie di proteste diffuse e una crisi politica e sociale sempre più acuta. Il voto, tenutosi in un clima di profonda crisi economica e sociale, è stato ampiamente contestato sia all’interno del paese che sulla scena internazionale.
Secondo il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE), controllato dal governo, Maduro ha ottenuto il 51,2% dei voti, battendo il candidato dell’opposizione Edmundo González, che ha raccolto il 44,2%. Tuttavia, solo gli alleati tradizionali del Venezuela, tra cui Russia, Cina, Iran e Cuba, si sono congratulati per la vittoria. Gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la maggior parte dei governi dell’America Latina hanno chiesto a Maduro di pubblicare i dati dettagliati dei seggi elettorali, raccolti automaticamente dal sistema di voto elettronico, mettendo in dubbio la trasparenza del processo.
Le strade delle principali città del Venezuela sono state teatro di manifestazioni che esprimono la rabbia e il disappunto di una popolazione stanca di una crisi economica senza fine, caratterizzata da inflazione galoppante, scarsità di beni essenziali e un sistema sanitario al collasso. Lunedì scorso, le proteste hanno attraversato tutto il paese, con cittadini che si sono riversati in strada per denunciare quello che considerano un tentativo palese di imbrogliare e prolungare il governo di Maduro, già al potere da 11 anni, per altri sei anni.
Le autorità venezuelane hanno risposto alle proteste con misure repressive, dispiegando la polizia antisommossa per disperdere le folle. Ieri, molte aziende sono rimaste chiuse in segno di protesta e l’opposizione ha invitato i cittadini a manifestare pacificamente in diverse città tra le 11 e le 12 del mattino. Nello stesso tempo, il governo ha organizzato contromanifestazioni nel primo pomeriggio, schierando i propri sostenitori per ribadire il sostegno a Maduro.
A Caracas, nel quartiere benestante di Altamira, migliaia di persone si sono radunate per manifestare il loro sostegno a González, scandendo il suo nome e vestendo di bianco, il colore simbolo dell’opposizione. L’atmosfera, sebbene carica di tensione, è rimasta prevalentemente pacifica.
In risposta alla crescente pressione internazionale, Maduro ha accusato i suoi oppositori di orchestrare un “colpo di Stato di carattere controrivoluzionario e fascista”. Come misura di ritorsione, ha espulso i diplomatici di sette paesi latinoamericani (Argentina, Cile, Costa Rica, Perù, Panama, Repubblica Dominicana, Uruguay) e ha interrotto i collegamenti aerei con Panama e la Repubblica Dominicana.
Nel frattempo, Celso Amorim, principale collaboratore del presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, ha riferito che Maduro, durante un incontro avvenuto lunedì, avrebbe promesso di fornire a breve i dati completi dei risultati elettorali. Tuttavia, molti osservatori internazionali e leader politici rimangono scettici sulla possibilità che queste promesse vengano mantenute.
Le proteste del 2024 rappresentano l’ennesimo capitolo di una lunga crisi politica e umanitaria che ha devastato il Venezuela negli ultimi anni. La crescente distanza tra il governo di Maduro e la popolazione venezuelana evidenzia un paese sempre più diviso e sull’orlo del collasso, con una situazione democratica che appare sempre più compromessa.
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