La “shuttle diplomacy” dell’Oman nei rapporti tra Usa e Iran

di Emanuela Ricci

L’Oman, piccolo sultanato situato strategicamente all’ingresso dello Stretto di Hormuz, svolge un ruolo cruciale e spesso sottovalutato nella diplomazia internazionale, in particolare in Medio Oriente. Con un mix di neutralità strategica e legami solidi con le principali potenze globali, l’Oman si è distinto come facilitatore silenzioso, capace di promuovere il dialogo tra nazioni spesso in conflitto, senza mai attirare troppo l’attenzione su di sé.

La politica estera dell’Oman, sin dal regno del defunto Sultan Qaboos bin Said, è stata caratterizzata da una neutralità attiva che ha permesso al sultanato di mantenere relazioni stabili e amichevoli sia con l’Occidente sia con i vicini regionali, inclusi l’Iran e l’Arabia Saudita, spesso in conflitto tra loro. Questa neutralità non significa disimpegno, ma piuttosto un approccio ponderato che consente all’Oman di agire come mediatore neutrale, evitando di schierarsi apertamente in conflitti regionali o globali.

Una delle chiavi del successo dell’Oman nella sua politica estera è la sua capacità di bilanciare le relazioni con attori potenti e contrastanti. Ad esempio, mentre molti paesi del Golfo hanno tagliato o ridotto le relazioni diplomatiche con l’Iran, l’Oman ha mantenuto aperti i canali di comunicazione, operando spesso come intermediario tra Teheran e le nazioni occidentali.

L’Oman, situato all’imbocco dello Stretto di Hormuz, uno dei passaggi marittimi più importanti del mondo, ha sempre avuto un forte interesse nella stabilità della regione. La posizione geografica e l’importanza strategica del paese hanno fatto sì che il sultanato sviluppasse una diplomazia particolarmente attenta e sofisticata.

Negli anni, l’Oman è stato coinvolto in numerosi sforzi diplomatici che hanno avuto un impatto significativo sulla politica internazionale. Un esempio emblematico è il ruolo che ha giocato nei negoziati sul programma nucleare iraniano. Già nel 2009, Muscat ha iniziato a facilitare i contatti tra funzionari iraniani e statunitensi, un lavoro che ha raggiunto il culmine nel 2013 con i negoziati segreti che hanno portato alla firma del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) nel 2015.

Il successo dell’Oman come facilitatore è dovuto in gran parte alla sua capacità di mantenere la riservatezza e la fiducia tra le parti coinvolte. Nel caso del JCPOA, l’Oman è stato in grado di ospitare negoziati segreti tra funzionari statunitensi e iraniani, lontano dai riflettori internazionali. La discrezione con cui il sultanato ha condotto queste operazioni è stata cruciale per la buona riuscita delle trattative.

Questa abilità di agire in modo discreto ha permesso all’Oman di gestire anche altre situazioni delicate, come le negoziazioni tra l’Arabia Saudita e i ribelli Houthi durante la guerra civile yemenita. Sebbene il conflitto non sia ancora risolto, l’Oman è riuscito a mantenere aperti canali di comunicazione che hanno contribuito a ridurre le tensioni in diversi momenti critici.

Con l’evoluzione della geopolitica del Golfo e le crescenti tensioni tra Stati Uniti e Iran, il ruolo dell’Oman è diventato ancora più rilevante. Dopo il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall’accordo nucleare iraniano nel 2018 sotto l’amministrazione Trump, l’Oman ha continuato a fungere da tramite tra le parti, cercando di evitare che le tensioni sfociassero in un conflitto aperto.

Più recentemente, l’Oman ha nuovamente dimostrato la sua importanza come facilitatore nel gennaio 2024, quando ha ospitato negoziati riservati tra funzionari statunitensi e iraniani, organizzando incontri separati con le delegazioni e utilizzando la tecnica della “shuttle diplomacy”. Questo intervento è stato cruciale per evitare un’escalation incontrollata, soprattutto alla luce delle tensioni seguite all’attacco di Hamas in Israele nell’ottobre 2023, che ha visto un aumento del rischio di conflitto nella regione. Sarebbero in corso in questi giorni incontri segreti per evitare la rappresaglia iraniana nei confronti di Israele a seguito dell’attentato a Teheran del leader di Hamas Ismail Haniyeh.

L’Oman non limita il suo ruolo di facilitatore ai soli conflitti regionali. Il sultanato ha partecipato ad altri processi di pace su scala globale. Per esempio, Muscat ha offerto il suo supporto nelle discussioni tra Stati Uniti e Corea del Nord e ha facilitato incontri tra diverse fazioni in conflitto in Africa. Questa volontà di contribuire alla pace globale riflette la visione a lungo termine dell’Oman come promotore della stabilità, non solo a livello regionale, ma anche internazionale.

L’approccio dell’Oman alla diplomazia non è solo il risultato di circostanze politiche o economiche, ma è profondamente radicato nella cultura e nella storia del paese. La tradizione omanita di accoglienza e rispetto per le diverse opinioni è stata un fattore chiave che ha plasmato la politica estera del sultanato. Sultan Qaboos bin Said, che ha regnato dal 1970 fino alla sua morte nel 2020, ha impostato una politica estera basata sul principio della non ingerenza negli affari interni degli altri stati e sulla promozione della risoluzione pacifica delle controversie.

Questa tradizione continua sotto la guida del Sultan Haitham bin Tariq, che ha mantenuto l’impegno di Muscat nel promuovere la pace e la stabilità attraverso il dialogo e la diplomazia.

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