Medio Oriente, una regione sull’orlo del baratro

di Antonio Adriano Giancane

La situazione in Medio Oriente si fa sempre più complessa e incerta, rappresentando un focolaio di crescenti tensioni che alimentano timori di un possibile allargamento del conflitto nella regione.

In particolare, l’uccisione del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, a Teheran avvenuto lo scorso luglio, acceso le tensioni tra Iran e Israele, con Teheran che ha prontamente annunciato una rappresaglia contro lo Stato ebraico. La situazione in Medio Oriente si fa sempre più critica, con il tabellone dei voli dell’aeroporto di Tel Aviv che è diventato un simbolo di ansia e attesa. Non solo i passeggeri, ma anche gli osservatori internazionali lo osservano con trepidazione, come se potesse rivelare il momento in cui potrebbe scoppiare una guerra tra i due Paesi.

La risposta dell’Iran, tramite il portavoce del Ministero degli Esteri Nasser Kanani, non si è fatta attendere: Teheran ha ribadito che le sue azioni sono motivate dalla necessità di proteggere la propria sicurezza nazionale e punire gli aggressori, citando la Carta delle Nazioni Unite. Tuttavia, questa presa di posizione nasconde un quadro molto più complesso. L’assassinio di Haniyeh ha segnato un’umiliazione per l’Iran, che si è visto costretto a fare i conti con la possibilità che i servizi segreti israeliani abbiano infiltrato le sue strutture di sicurezza. Ciò ha spinto Teheran a intensificare la retorica di vendetta, promettendo azioni militari concrete e pianificate.

Nonostante queste minacce, negli ultimi giorni si sono registrati segnali che lasciano sperare in una risoluzione meno conflittuale della crisi. I negoziati per fermare i combattimenti a Gaza, in corso da oltre dieci mesi, proseguono, sebbene senza risultati concreti. Gli Stati Uniti, tuttavia, vedono un segnale positivo: l’Iran e Hezbollah, per il momento, hanno rinunciato a quella che sembrava essere una massiccia azione di rappresaglia contro Israele.

Questa strategia potrebbe essere legata alla volontà di Teheran di evitare di interferire con i colloqui di cessate il fuoco tra Israele e Hamas, poiché un accordo potrebbe ridurre la presenza militare statunitense nella regione, un obiettivo importante per l’Iran.

Gli Stati Uniti infatti continuano ad aumentare il numero di navi e uomini a ridosso di Libano e Israele e nelle basi Usa in Giordania e Iraq sono atterrate squadriglie di caccia mandate a rinforzare la linea di difesa. Mosse che costringono Teheran a fare i conti con le reazioni di un attacco che potrebbe essere lanciato anche attraverso le basi sciite in Iraq, dove la presenza americana è ridotta al minimo e le fazioni filoiraniane hanno accresciuto la loro presenza a discapito dei gruppi sunniti.

Nonostante gli sforzi diplomatici, la situazione rimane quindi esplosiva.

Israele e Hezbollah hanno intensificato gli attacchi transfrontalieri, alimentando il timore di un conflitto regionale su vasta scala. Israele ha colpito depositi di armi di Hezbollah nell’est del Libano, causando morti e feriti, mentre Hezbollah ha risposto attaccando una base militare israeliana nelle alture del Golan. L’ultimo attacco degli Hezbollah compiuto con 50 razzi, che ha colpito diverse abitazioni e ferito una persona, era a sua volta una risposta a un raid israeliano che martedì sera ha ucciso una persona e ne ha ferite 19.

Questi continui attacchi sui diversi fronti, dimostrano il fallimento delle trattative per un cessate il fuoco tra Israele e Hamas, aumentando le tensioni lungo il confine libanese. Anche la missione del segretario di stato USA Antony Blinken in Cairo con lo scopo di raggiungere l’accordo di una tregua nella regione e per il rilascio degli ostaggi sembra essersi rivelata vana e hanno visto Israele e Hamas fermi sulle proprie posizioni lasciando poche speranze alla firma di un accordo.

In conclusione, la situazione in Medio Oriente resta estremamente tesa e fluida. La possibilità di una guerra regionale, con il coinvolgimento di più nazioni, non può essere esclusa. È fondamentale mantenere alta l’attenzione e cercare in ogni modo di evitare un allargamento del conflitto, che avrebbe conseguenze devastanti non solo per la regione, ma anche per la stabilità globale.

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