Potenziale immenso, ma sfide globali in agguato
di Antonio Adriano Giancane
L’Australia sembra avere tutte le carte in regola per dominare la corsa globale ai minerali critici, essenziali per alimentare le tecnologie verdi e militari del futuro. Con enormi riserve naturali, il Paese è un attore di primo piano nel mercato globale di queste risorse. Secondo l’ultimo rapporto dell’Australia’s Identified Mineral Resources (AIMR), l’Australia è leader mondiale nella produzione di litio, con oltre la metà del litio mondiale estratto dalle sue terre nel 2021. Il Paese non si ferma qui: è anche il primo produttore globale di bauxite e tra i maggiori produttori di ferro, rutilo, zircone e altri minerali strategici.
L’accelerazione dello sviluppo delle energie rinnovabili e della mobilità elettrica ha spinto Canberra a investire massicciamente nell’esplorazione mineraria, destinando 3,6 miliardi di dollari al programma Exploring for the Future, la cifra più alta dell’ultimo decennio. Questi investimenti mirano a rafforzare ulteriormente la posizione dell’Australia nel settore, soprattutto in un momento in cui la domanda di minerali come vanadio, cobalto e litio è in crescita.
Tuttavia, dietro questo scenario di apparente successo si cela una realtà ben più complessa e preoccupante. Nonostante l’impegno del governo laburista di centro-sinistra per espandere l’estrazione e la lavorazione di questi minerali, il settore minerario australiano sta affrontando difficoltà significative. Negli ultimi mesi, diverse miniere di litio e nichel sono state chiuse, mentre grandi aziende come BHP e Albemarle hanno ridimensionato o chiuso le loro raffinerie. Alla base di queste chiusure vi è un crollo del mercato, dovuto a una domanda di veicoli elettrici inferiore alle aspettative e a un eccesso di offerta di minerali che ha portato a un calo vertiginoso dei prezzi.
Ma il problema non è solo economico. La sfida più grande viene dalla Cina, che domina il mercato globale delle terre rare e dei minerali critici. Con una produzione che copre oltre la metà delle terre rare mondiali e un controllo quasi totale sulla loro raffinazione, Pechino esercita una forte influenza sui prezzi globali. Inoltre, la Cina ha investito in giacimenti esteri, come quelli di nichel in Indonesia, contribuendo a inondare il mercato e a mettere in crisi la concorrenza, inclusa quella australiana.
Questa strategia non è casuale. La Cina sembra intenzionata a mantenere il controllo della filiera globale dei minerali critici, utilizzando il proprio dominio come leva geopolitica. Un esempio è la disputa del 2010 con il Giappone, durante la quale Pechino ha interrotto le esportazioni di terre rare, dimostrando come queste risorse possano diventare strumenti di pressione internazionale.
L’Australia si trova quindi in una posizione delicata. Pur avendo le risorse naturali e la volontà politica di giocare un ruolo chiave nel mercato globale dei minerali critici, il Paese deve affrontare sfide enormi. Nonostante il sostegno del governo, con prestiti, sovvenzioni e agevolazioni fiscali, la strada per ridurre la dipendenza dalla Cina è lunga e complessa. Il caso di Iluka Resources, che nonostante un prestito significativo ha bisogno di ulteriori finanziamenti per completare una raffineria di terre rare, è emblematico delle difficoltà che il Paese deve superare.
In conclusione, l’Australia ha un potenziale immenso nel settore dei minerali critici, ma il suo successo dipenderà dalla capacità di sviluppare una filiera indipendente e sostenibile. Solo così potrà competere a livello globale senza soccombere alla pressione economica e geopolitica esercitata dalla Cina.
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