La Cina e il Pakistan: un’alleanza strategica minata dalla violenza

di Antonio Adriano Giancane

Il rapporto tra Cina e Pakistan è da tempo uno dei più solidi nello scenario geopolitico dell’Asia meridionale. Per Islamabad, la Cina rappresenta un partner economico cruciale: senza il supporto finanziario di Pechino, il Pakistan rischierebbe seriamente il collasso economico. L’investimento di oltre 60 miliardi di dollari cinesi nel quadro della Belt and Road Initiative (BRI) è essenziale per lo sviluppo infrastrutturale e energetico del Paese.

Quindi, mentre l’alleanza con la Cina garantisce al Pakistan un importante sostegno economico, per Pechino il legame con Islamabad ha un valore strategico cruciale, in particolare per questioni connesse alla sicurezza. Il Pakistan, infatti, occupa una posizione centrale nella complessa scacchiera geopolitica che include anche l’Afghanistan. Dopo il ritiro delle truppe statunitensi e della NATO dall’Afghanistan nel 2021, l’instabilità nella regione è aumentata, portando con sé nuove minacce lungo il confine condiviso da Cina, Pakistan e Afghanistan. In particolare, la zona del corridoio di Wakhan, una stretta fascia di territorio afghano che separa il Tajikistan dal Pakistan e confina con la Cina, rappresenta una delle aree più strategicamente rilevanti e, allo stesso tempo, più pericolose dell’Asia meridionale. Per Pechino, la stabilità del Pakistan è fondamentale per evitare che l’Afghanistan diventi un “buco nero” economico e politico, simile a quanto già accaduto con l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti. Tuttavia, nonostante il massiccio impegno economico cinese, il Pakistan sta diventando un terreno minato anche per gli investitori e i lavoratori cinesi a causa della crescente violenza.

Immagine generata con AI

Negli ultimi mesi, il paese è stato scosso da una serie di attentati contro cittadini cinesi, rallentando gravemente i progetti finanziati da Pechino e aumentando la tensione tra i due paesi. Lo scorso 26 marzo, la Cina è stata costretta a sospendere la costruzione di due grandi dighe idroelettriche nel nord del Pakistan. La decisione è arrivata dopo un attacco suicida che ha ucciso cinque ingegneri cinesi e il loro autista pachistano, mentre stavano lavorando alla diga di Dasu, nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa. Secondo le indagini, l’attacco sarebbe stato organizzato dai Talebani pakistani.

Il 6 ottobre scorso, un altro attentato di questo mese ha colpito un convoglio di dipendenti della Port Qasim Electric Power Company, una centrale elettrica considerata uno dei maggiori investimenti cinesi in Pakistan. L’esplosione, rivendicata dai separatisti etnici del Balochistan, ha provocato la morte di due ingegneri cinesi e il ferimento di almeno altre 10 persone, segnando un’ulteriore escalation di violenza contro gli interessi economici cinesi nel Paese. L’attentato, rivendicato da un gruppo separatista, l’Esercito di Liberazione del Belucistan (BLA), si oppone alla presenza straniera e vede nei progetti cinesi un’invasione economica che beneficia solo le élite pakistane, lasciando le popolazioni locali escluse e impoverite.

Di fronte a questa crescente minaccia, la Cina ha chiesto con fermezza che il Pakistan intensifichi le misure di sicurezza per proteggere i suoi cittadini e le sue infrastrutture nel paese. L’ambasciata cinese a Islamabad ha esortato le autorità locali a punire severamente i responsabili degli attacchi e a rafforzare la protezione per le migliaia di lavoratori cinesi impegnati nei progetti legati alla Belt and Road Initiative.

Gli attacchi hanno indubbiamente complicato anche i negoziati tra Cina e Pakistan con oggetto la ristrutturazione del debito pachistano, accumulato soprattutto nel settore energetico così come confermato anche dal ministro dell’energia pakistano, Awais Leghari, il quale ha ammesso che le violenze hanno causato ritardi nei colloqui, creando ulteriore tensione tra i due Paesi.

La situazione è resa ancora più critica dal fatto che la Cina è il principale creditore esterno del Pakistan, e un deterioramento delle relazioni tra i due paesi potrebbe avere gravi ripercussioni sull’economia pachistana, già duramente provata. Ma per Pechino, l’interesse economico non è sufficiente a spiegare il suo impegno in Pakistan. La sicurezza della regione, e in particolare il controllo dell’instabile confine afghano, resta una priorità assoluta.

Il Pakistan è ormai diventato un focolaio di attività terroristiche, e secondo il South Asia Terrorism Portal, solo lo scorso anno più di 1.500 persone hanno perso la vita in attacchi terroristici nel paese. Questo rende la stabilità del Pakistan una questione cruciale non solo per Islamabad, ma anche per la Cina, che deve bilanciare i rischi legati alla sicurezza con la necessità di portare a termine i suoi ambiziosi progetti infrastrutturali.

È evidente che in questo contesto complesso, la partnership tra Cina e Pakistan è messa alla prova da una violenza crescente e dalla minaccia di ulteriori destabilizzazioni. Il gruppo infatti, in un messaggio pubblicato su Telegram, ha esplicitamente manifestato l’intenzione di continuare nella sua operazione per disincentivare gli investitori stranieri. “Questo è un avvertimento non solo alla Cina, ma anche a qualsiasi nazione o investitore nel mondo che cerchi di mettere piede in Balochistan durante l’occupazione pakistana. Prenderemo di mira tutti gli interessi economici, gli investimenti e le installazioni militari cinesi, non ci sarà alcun rifugio sicuro per loro sul suolo del Balochistan”.

Se Pechino intende mantenere il suo ruolo di potenza economica e politica nella regione, dovrà trovare un modo per affrontare non solo i problemi economici, ma anche quelli legati alla sicurezza che minacciano di far deragliare i suoi progetti a lungo termine in Pakistan.

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