di Antonio Adriano Giancane
Le guerre del XXI secolo stanno evolvendo in modi imprevisti e spietati, fondendo tecnologia all’avanguardia con tattiche del passato in un’escalation che miete sempre più vittime tra soldati e civili. Mentre missili ipersonici, droni, cyber-armi e intelligenza artificiale trasformano il campo di battaglia, un ritorno alla guerra di trincea e ai combattimenti urbani si impone in conflitti come quelli in Ucraina e nella Striscia di Gaza. In questi teatri, lo scenario si rivela terribile: i soldati combattono sotto bombardamenti incessanti e in trincee esposte e i civili, intrappolati nelle città, finiscono sempre più spesso tra le linee di fuoco senza vie di fuga.
La modernità della guerra si scontra così con l’atrocità della guerra di posizione e dei conflitti urbani, che producono un numero crescente di vittime innocenti. In Ucraina, la trincea diventa difesa e prigione, mentre a Gaza le battaglie si svolgono all’interno di città densamente popolate, dove è quasi impossibile distinguere tra obiettivi militari e civili, e le perdite umane sono elevatissime.
In questo contesto già estremamente complesso, si insinua l’arma invisibile della disinformazione. Le fake news rappresentano uno strumento strategico, una guerra parallela fatta di parole, immagini e numeri falsi, che destabilizzano l’opinione pubblica e gettano ombre sulla verità.
Nel conflitto urbano a Gaza, per esempio, le fake news sul numero delle vittime sono diventate un elemento di disinformazione potente, contribuendo a una percezione distorta della realtà sul campo.
Per il ministro della Sanità del gruppo islamista nei 13 mesi di guerra il numero dei morti nella striscia di Gaza è di circa 43.000 (su una popolazione di circa 1,5 milioni di persone). Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, invece, il numero di morti civili ammonta a 8.119, un dato che, sebbene riferito agli ultimi 7 mesi e copre poco più della metà del periodo del conflitto, smentisce le stime molto più alte fornite da Hamas anche se la realtà rimane devastante considerato che quasi il 70% delle vittime sono donne e bambini, a testimonianza del drammatico impatto che il conflitto sta avendo sui civili palestinesi.
Queste manipolazioni non solo generano tensioni internazionali, ma complicano anche gli sforzi diplomatici e la possibilità di una mediazione efficace. Oggi, la guerra si combatte tanto con le armi quanto con le notizie distorte, mescolando verità e propaganda in un campo di battaglia globale dove ogni affermazione è strategica. Questo tipo di guerra psicologica non solo disorienta chi osserva da lontano, ma minaccia di minare la coesione sociale e il morale stesso delle popolazioni coinvolte, amplificando l’odio e lasciando cicatrici profonde anche fuori dal fronte, che minano la speranza di una pace duratura tra i popoli in guerra.
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