La Corte Penale Internazionale emette una storica sentenza con accuse di sterminio e persecuzione al leader israeliano Benjamin Netanyahu e al già ministro della difesa Yoav Gallant
di Emanuela Ricci
La Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso un mandato d’arresto contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, accusandoli di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. La decisione, che rappresenta un precedente unico per un leader di una democrazia, riguarda le operazioni militari e le restrizioni umanitarie imposte durante il conflitto in corso a Gaza. Il mandato d’arresto contro Netanyahu e Gallant rappresenta un momento cruciale nella storia della giustizia internazionale. Mentre sottolinea l’urgenza di perseguire crimini di guerra, la decisione mette in luce i limiti delle istituzioni globali nel bilanciare legalità, equità e interessi politici. Con il conflitto ancora in corso e la comunità internazionale divisa, il caso Netanyahu potrebbe ridefinire il rapporto tra giustizia e diplomazia, gettando un’ombra sul futuro delle relazioni tra Israele e il resto del mondo.
Le Accuse della CPI
Secondo i giudici della CPI, Netanyahu e Gallant sono responsabili di crimini contro la popolazione civile palestinese, includendo: Sterminio e persecuzione, in parte attribuiti al blocco degli aiuti umanitari a Gaza. Denutrizione come strumento di guerra, che avrebbe aggravato la crisi umanitaria. Attacchi deliberati contro i civili, con migliaia di morti registrati in 44 giorni di conflitto. Al centro delle accuse c’è l’emergenza umanitaria nella Striscia di Gaza. I giudici della CPI ritengono che le restrizioni israeliane sugli aiuti umanitari abbiano contribuito alla morte di migliaia di civili. Il conflitto ha causato oltre 44.000 morti tra i palestinesi, lasciando milioni di persone senza cibo, acqua e cure mediche. Parallelamente, la CPI ha emesso mandati per leader di Hamas, tra cui Mohammed Deif, accusandoli di crimini come presa di ostaggi, torture e violenze sessuali. Due leader, Yahya Sinwar e Ismail Haniyeh, invece sono già stati uccisi durante il conflitto.
Reazioni da Israele
La reazione in Israele è stata unanime nel condannare la CPI. Netanyahu ha definito la decisione “un’azione antisemita” paragonandola al processo Dreyfus, simbolo di ingiustizia contro gli ebrei. Ha difeso le operazioni israeliane come “giuste e necessarie” contro il terrorismo di Hamas. Isaac Herzog, presidente israeliano, ha parlato di “un giorno buio per la giustizia”. Yoav Gallant, ormai solo deputato, ha accusato la Corte di legittimare il terrorismo: “Equiparare lo Stato di Israele ai criminali di Hamas è una falsità morale”. Anche l’opposizione, nonostante le tensioni interne al governo, ha difeso Netanyahu, definendo il mandato un “premio per il terrorismo”.
Italia divisa tra politica e diplomazia
L’Italia, firmataria dello Statuto di Roma, si trova in una posizione delicata. Antonio Tajani, ministro degli Esteri, ha sottolineato che la CPI deve mantenere un ruolo “giuridico e non politico”, invitando alla cautela e alla concertazione con gli alleati internazionali. Guido Crosetto, ministro della Difesa, ha definito la sentenza “sbagliata”, ma ha riconosciuto che l’Italia, in quanto vincolata dal diritto internazionale, sarebbe obbligata ad arrestare Netanyahu e Gallant se entrassero nel paese. I partiti italiani si dividono. Il Partito Democratico ha ribadito l’importanza di rispettare le decisioni della CPI come parte degli obblighi internazionali. Il Movimento 5 Stelle, tramite Giuseppe Conte, ha definito le azioni israeliane “follia criminale” e ha chiesto sanzioni economiche e un embargo sulle armi verso Israele. La Lega e Forza Italia hanno criticato la sentenza come “politica e filo-islamica”.
Le reazioni degli alleati di Israele
La sentenza della CPI solleva interrogativi sulla capacità della giustizia internazionale di operare in contesti geopolitici complessi. Molti paesi, firmatari dello Statuto di Roma, dovranno decidere come applicare il mandato senza compromettere le relazioni con Israele. Gli Stati Uniti e altri alleati di Israele continuano a sostenere le operazioni militari israeliane, definendole una risposta necessaria agli attacchi terroristici di Hamas. Tuttavia, altre nazioni europee sono sempre più critiche verso le azioni di Tel Aviv, considerando le accuse della CPI un passo obbligato per garantire giustizia alle vittime.
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