Ieri Giovanni Tria ha festeggiato i 70 anni al ministero, con aria molto rimaneggiata. Un breve rinfresco con i propri collaboratori. Il regalo? Una valigia, probabilmente, che sottende ad un prossimo preludio.
Il ministro Tria non è mai stato d’accordo ad una manovra del genere di arrivare al 2,4% nel rapporto deficit/Pil, senza prevedere alcuna misura seria per gli investimenti. E’ dovuto intervenire il Quirinale per evitare le dimissioni di Tria, dimissioni che avrebbero aumentato i timori dei mercati e la diffidenza dei commissari Ue.
La prossima settimana Tria dovrà comunque discutere di una legge il cui quadro finanziario non gli va proprio giù.
Al riguardo anche i più stretti collaboratori del Ministro sono in difficoltà.
Il capo di gabinetto Roberto Garofoli sarebbe stato sul punto di dare le dimissioni, rientrate dopo l’intervento del Quirinale.
Anche Alessandro Rivera si trova in una situazione non facile: sgradito al Movimento Cinque Stelle per il suo ruolo nella gestione delle crisi bancarie, come direttore generale Tesoro ha tra l’altro il compito di rappresentare l’Italia nei comitati che preparano Eurogruppo ed Ecofin, e di accompagnare il ministro alle riunioni. Leggermente più defilata la posizione del Ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco supertecnico dei conti pubblici “prestato” dalla Banca d’Italia, il cui mandato scade a maggio del prossimo anno.
Tria avrebbe riferito ai suoi collaboratori l’idea di attendere l’approvazione della manovra da parte del Parlamento e poi di lasciare.
Il Ministro dell’Economia e Finanze italiano è stato chiaro: non si tratta di difendere il 2,4% solo quest’anno, ma anche nei prossimi due. Ovvero spingere ancora sul debito pubblico per lo più destinato a finanziare una spesa assistenziale e non a investimenti seri che facciano capire di una programma teso ad una crescita sostenibile.
Tria è stato sconfitto (deluso sia da Conte che dalla Lega). Secondo gli analisti di Bnp Paribas, scrive Il Mattino “la scelta di far passare la linea del 2,4% ha danneggiato la credibilità del ministro Giovanni Tria come garante della prudenza fiscale”.
“Abbiamo ricordato a Tria che manteniamo le nostre promesse”, sottolineava ieri il ministro Riccardo Fraccaro, facendo intendere di che portata è la sfida in corso. Un messaggio pesante lanciato dai vertici pentastellati e arrivato prima a Conte, poi a Tria e rimbalzato probabilmente sino al Quirinale. Sul piatto Di Maio ha di fatto messo la crisi di governo in piena sessione di bilancio, ma se questo è solo un bluff lo si scoprirà nei giorni prossimi quando si conosceranno le tabelle della manovra e si capirà veramente cosa intende fare il governo di una manovra che, per ora, si aggira sui quaranta miliardi. Per ora mancano all’appello ancora coperture per tredici miliardi, ma l’annuncio di giovedì notte – preceduto dalle indiscrezioni del giorno prima è servito a Di Maio per “tastare” il polso dei mercati nella speranza che non si irritino troppo e che alla fine permettano allo spread di fare marcia indietro.
Tuttavia la preoccupazione per la tenuta dei conti pubblici è un chiodo fisso anche per il Quirinale dove per tutta la giornata di ieri si è cercato di contenere le fibrillazioni interne al governo e, soprattutto, le tensioni che si sono scaricate sul Mef.
Le incertezze sono dovute ai tanti report di investitori e banche d’affari che guardano ora con molto sospetto la tenuta del nostro debito e la possibilità di investire nei titoli di Stato italiani. L’aumento dello spread, e di conseguenza l’aumento dei tassi con cui vengono collocati i titoli, finiranno ovviamente ad incidere sui saldi della manovra di cui non si conosce però ancora la struttura.
Dopo la nottata di euforia a palazzo Chigi si attendono quindi le tabelle con la ripartizione delle spese alle quali sta lavorando lo stesso Tria. Prima dell’eventuale, ma molto probabile scontro con la Commissione Ue – che accusa il governo gialloverde di non aver rispettato i patti – occorrerà attendere la prossima settimana e soprattutto la pronuncia delle agenzie di rating che avevano rimandato il loro giudizio proprio in attesa del Def.
Il più preoccupato è il sottosegretario Giancarlo Giorgetti che già parla di “deriva argentina” riferendosi sia alla scena del balcone di palazzo Chigi, sia al rischio di uno spread che potrebbe continuare a salire.