“Tra Irap, Imu/Tasi e addizionali Irpef, famiglie e imprese versano a Regioni ed enti locali oltre 60 miliardi di euro all’anno. L’incidenza di questo importo, sul totale delle entrate tributarie, è pari al 12 per cento e, purtroppo, è destinato ad aumentare. Dal 2019, infatti, rischiamo di pagare almeno 1 miliardo in più, a seguito della rimozione del blocco delle aliquote dei tributi locali introdotta nella manovra di Bilancio attualmente i discussione in Parlamento”.
A lanciare l’allarme è il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, Paolo Zabeo.
Dopo aver rimosso il blocco delle aliquote dei tributi locali introdotto con la legge di Stabilità del 2016 dall’allora Governo Renzi, è molto probabile che alcuni Governatori e molti Sindaci torneranno ad innalzarle. Secondo alcune stime, degli 8.000 Comuni presenti in Italia oltre l’80 per cento ha i margini per aumentare sia l’Imu sulle seconde/terze case sia l’addizionale Irpef.
Non è da escludere inoltre che, a seguito dell’aumento della deducibilità dell’Imu sui capannoni in via di definizione con la manovra di Bilancio 2019, alcuni primi cittadini siano tentati di ritoccare all’insù l’aliquota di propria competenza, almeno fino alla soglia che non consente agli imprenditori di versare più di quanto hanno realmente pagato nel 2018.
Per queste ragioni l’Ufficio studi della CGIA ipotizza, con una stima molto prudenziale, che lo sblocco degli aumenti delle aliquote delle tasse locali (Irap, Imu/Tasi, addizionali Irpef, etc.) rischia di comportare un aggravio fiscale in capo a famiglie e imprese di almeno 1 miliardo di euro.
Le difficoltà economiche in cui versano i Comuni, ad esempio, sono note da tempo e hanno subito un deciso peggioramento a seguito dei tagli imposti negli ultimi anni dal governo centrale. Tra il 2010 e il 2017, infatti, le manovre di finanza pubblica a carico delle Autonomie locali hanno comportato una contrazione delle risorse disponibili pari a 22 miliardi di euro.
I più colpiti sono stati i Comuni. Se nelle casse dei Sindaci la contrazione ha raggiunto l’anno scorso gli 8,3 miliardi di euro, alle Regioni a Statuto ordinario le minori entrate si sono stabilizzate sui 7,2 miliardi. Le Province, invece, hanno subito una diminuzione delle risorse pari a 3,5 miliardi, mentre le Regioni a Statuto speciale formalmente non hanno sopportato alcuna contrazione, anche se lo Stato centrale ha imposto loro di accantonare ben 2,9 miliardi di euro.
Nonostante il blocco degli aumenti dei tributi locali e il taglio ai trasferimenti, i Sindaci hanno comunque trovato il modo di compensare, almeno in parte, queste mancate entrate agendo sulle tariffe locali.
“Con lo stop agli aumenti delle tasse locali – dichiara il Segretario della CGIA Renato Mason – molti amministratori hanno comunque continuato ad alimentare le proprie entrate incrementando le bollette della raccolta dei rifiuti, dell’acqua, le rette degli asili, delle mense e i biglietti del bus. E tutto ciò, senza gravare sul carico fiscale generale, visto che i rincari delle tariffe, a differenza degli aumenti delle tasse locali, non concorrono ad appesantire la nostra pressione fiscale, anche se in modo altrettanto fastidioso contribuiscono ad alleggerire i portafogli di tutti noi”.
Tra il 2015 e i primi 4 mesi di quest’anno, infatti, le principali tariffe amministrative applicate dai comuni (certificati di nascita, matrimonio/morte) sono aumentate dell’88,3 per cento. Quelle applicate dalle società controllate da questi enti territoriali per la fornitura dell’acqua, invece, hanno subito un incremento del 13,9 per cento, quelle della scuola dell’infanzia del 5,1 per cento, le mense scolastiche del 4,5 per cento, il trasporto urbano del 2 per cento e i rifiuti dell’1,7 per cento. L’inflazione, invece, sempre in questo periodo è salita solo dell’1,7 per cento.
In buona sostanza, concludono dalla CGIA, dopo aver subito in questi ultimi 3 anni una raffica di aumenti tariffari da far rabbrividire, dall’anno prossimo famiglie e imprese corrono il rischio di subire l’ennesimo inasprimento dei tributi locali. Una stretta fiscale che, ovviamente, non farà che peggiorare i bilanci dei contribuenti italiani.