Dov’è il tesoro del leader libico Muammar Gheddafi? Il Sole24Ore cerca di ripercorrere la strada “ad ostacoli” dell’immenso fiume di denaro che molti stimano che ammonti a circa 60 miliardi di dollari Usa. Pochi mesi dopo l’inizio della primavera libica quando Gheddafi controllava la Tripolitania e combatteva il governo di transizione insediatosi in Cirenaica, la comunità internazionale cominciò a cercare di capire quanti fossero e dove fossero gli investimenti di Gheddafi. Certamente vi erano enormi quantità di denaro, di oro, di diamanti tenuti segretamente soprattutto in Paesi africani. Colui che ha sempre gestito tutte le ricchezze di Gheddafi è Bashir Saleh, arrestato dopo la morte del Colonnello e poi sparito nel nulla.
Saleh custodisce i segreti, quelli che probabilmente mai nessuno riuscirà a scoprire. Deve spiegare che fine ha fatto il ricavato della vendita di parte delle riserve auree della Libia, ordinata da Gheddafi poco prima di morire. Per non parlare dei guadagni provenienti dalla vendita di petrolio e gas utilizzati da Gheddafi per costituire e finanziare la Lia, la Libyan investment authority, il fondo sovrano libico. Dopo la rivoluzione, le Nazioni Unite hanno cercato di ricostruire l’ammontare e la collocazione del denaro a disposizione della Lia. Che, oggi, tra investimenti e depositi liquidi, può contare circa su circa 60 miliardi di dollari. Alcuni affermano che 20 miliardi mancherebbero ancora all’appello. Gheddafi era molto scaltro perchè era solito investire in società sane e strategiche. In Italia, tramite la Lia e la Banca centrale libica, il suo governo era il primo azionista di UniCredit e aveva importanti partecipazioni in Fiat (poi vendute), Finmeccanica-Leonardo ed Eni.
Nel Regno Unito, ad esempio, deteneva una significativa partecipazione nel gruppo Pearson, del quale hanno fatto parte fino al 2015 il quotidiano Financial Times e il settimanale The Economist. L’Onu nel 2011 si è affrettata a congelare conti e investimenti della Lia. Nel pieno di una quasi guerra civile non era certo il caso di lasciare tutti quei soldi e investimenti in società strategiche in mano al clan di Gheddafi e ai suoi prestanome, spiega il Sole24Ore. Otto anni più tardi, i provvedimenti delle Nazioni Unite sono ancora in vigore. Troppo sensibili le società, troppi soldi in ballo e troppa confusione nel panorama politico libico suggeriscono di lasciare tutto così com’è. Cioè congelato. Ma le cose non sono così semplici. In primo luogo, cresce il risentimento dei libici, i quali affermano che non si capisce perché uno Stato sovrano con un governo riconosciuto dalla comunità internazionale non possa disporre del proprio denaro. Un settimanale belga ha di recente svelato che 10 miliardi di euro sarebbero letteralmente spariti da un conto della Lia aperto in Belgio. È dovuto intervenire il ministro belga delle Finanze per cercare di spiegare la situazione: il conto era stato legittimamente movimentato perché in realtà dividendi e interessi sui depositi non sono congelati e dunque rientrano nella piena disponibilità delle istituzioni libiche. Falso, perché secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sulla Libia anche questi soldi dovrebbero essere bloccati contrariamente a quanto si era sempre pensato. Regna quindi tanta confusione, ovvero a qualcuno potrebbe far comodo non sbloccare il denaro libico. Sicuramente, laddove vi saranno reali elezioni democratiche e si costituirà un governo eletto e riconosciuto, quel denaro dovrà tornare ai libici. Probabilmente uno dei motivi per i quali il processo di pacificazione della Libia è ancora molto fragile è da ricercare proprio in quell’immensa ricchezza, sparsa per il mondo, ambita da chissà chi o cosa.