(di Nicola Simonetti) “Nel 1951 – ha detto Filippo Boscia, già professore Medicina della riproduzione umana presso l’università di Bari e direttore U.O.C. di ostetricia e ginecologia – fu il ginecologo H. Siebke dell’Università di Bonn che propose, per la prima volta al mondo, il termine Andrologia.
Personalmente ho vissuto agli albori quel periodo in cui l’andrologia, uscita dal campo delle improvvisazioni settoriali ed empiriche, andava qualificandosi come scienza moderna, basata su serie ricerche, valide esperienze cliniche per rifondarsi in una nuova entità globale che, pur riconoscendo come radici l’urologia, la endocrinologia e per certi versi la dermatologia, direi meglio la dermosifilolopatia (quella del professor Mian di Pisa), si apriva alla chirurgia, alla genetica, alla sessuologia, alla patologia clinica, agli studi citomorfologici ultrastrutturali, vere “new entries” scientifiche in campo andrologico. L’andrologia moderna sorgeva con l’intenso desiderio di armonizzarsi con le molte varie discipline per affrontare con visione unitaria un nuovo grande capitolo della medicina.
L’Andrologia doveva essere scienza capace di accompagnare l’”essere uomo” dal nascere fino al suo essere maschio, al suo svilupparsi nella pubertà, al suo manifestarsi psicofisico nell’adolescenza, al suo pieno manifestarsi nell’età adulta, con interessi rivolti anche nelle fasi di successiva fragilità e di senescenza.
L’Andrologia aveva un compito arduo: far uscire dall’oscurità ogni problematica che per secoli era stata condizionata da pregiudizi, tabù e altro, ma questo compito non era cosa facile.
Non era per nulla agevole abbattere quel secolare tabù e la fondata credenza che la potenza sessuale coincidesse con la massima dimostrazione della fertilità! Non era facile abbattere l’infamante vergogna dell’impotenza sessuale, il cui fantasma aleggiava in questo contesto.
Quel paziente, afflitto da problemi andrologici, vagava dal medico di base al dermatologo, all’urologo, all’endocrinologo, allo psicologo, vivendo la sua eventuale impotenza come una vergogna, un fantasma, come un imbarazzo, piuttosto che come una malattia da curare.
Non sono poi tanto lontani quei tempi! Accadeva in realtà che, mentre il ginecologo era da sempre figura di riferimento scientifico, culturale e psicosociale per la donna, la figura al maschile non esisteva e l’andrologo che doveva esserlo per l’uomo, non era accreditato ancora come specialista, ma anche perché per millenni la sessualità e la fertilità dell’uomo era stata coperta dal tabù e da tanti molteplici pregiudizi socio-culturali.
Certamente v’era un tardivo irrompere dell’andrologia nello scenario della medicina moderna. Ma il sogno che si perseguiva in questo percorso fondativo era quello di poter definire l’andrologia come disciplina unitaria, sorella della ginecologia, che già da tempo aveva saputo integrare in un tutt’uno le componenti ostetriche, ginecologiche, endocrinologiche, riproduttive, psicologiche ecc., e che di fatto aveva fondato sin da allora quella medicina di genere al femminile che unitariamente seguiva le funzioni degli organismi femminili, dalla pubertà all’età fertile e ora anche al climaterio, alla menopausa e alla senescenza.
Ben presto però ci si rese conto che questi progetti forse avrebbero subito una consistente frenata. Si era riusciti ad ottenere un riordino delle scuole di specializzazione. V’era la promessa della scuola di specializzazione postlaurea di Pisa e di Torino; erano state confermate le prime cattedre di Andrologia di prima fascia assegnate ai corsi di laurea di Medicina e Chirurgia di Roma, Firenze e L’Aquila ecc.
Ma, nell’ampio contesto delle discipline afferenti all’Andrologia, ognuno difendeva il suo hortus conclusus: endocrinologi, urologi, ginecologi, pediatri, biologi, psicologi, psichiatri, patologi clinici.
Credo che molto abbiano giocato divisioni corporative che di fatto hanno impedito di creare gli andrologi e soprattutto di farli crescere e conoscere.
Il CUN, consiglio universitario nazionale, classificò nell’ 89 l’andrologia come sub specialità della endocrinologia e la inserì come tale nell’ordinamento e negli obiettivi didattici delle facoltà di medicina a far data dal 2000. A partire da questa data non ci fu più specializzazione o disciplina autonoma ma insegnamento inserito nei percorsi di formazione di discipline “parenti” e/o “affini”. A seguito di ciò l’Italia, da essere leader in questo settore, vide soffocato il suo ruolo pionieristico e preminente.
Ciò ha avuto ripercussioni anche sul piano assistenziale. Mai più unità operative complesse di andrologia o istituti unitari, ma strutture semplici o saltuari incarichi.
L’andrologia diventava sub-specialità di endocrinologia, sub-specialità di urologia, sub-specialità di ginecologia e medicina della riproduzione, sub-specialità di chirurgia.
L’irrompere della medicina della riproduzione umana e delle tecniche di riproduzione medicalmente assistita (dalla inseminazione alla Fivet, alla ICSI) ha consentito allora che queste problematiche fossero affrontate in prima istanza dai ginecologi, addirittura senza gli andrologi.
Veniva facile questa esclusione perché si era tentato di costituire l’andrologia come scienza, ma si era impedito che si facessero gli andrologi e soprattutto si era impedito di farli conoscere, impedendo a molti allievi che speravano nello sviluppo di una disciplina unitaria, di formarsi in una visione unitaria orientata con esclusivo riferimento alla salute “al maschile”.
Di fatto all’inizio degli anni 90, mancando un riconoscimento accademico autonomo e unificato della figura del andrologo, ci si è accorti che per gli studenti, per gli allievi, per gli specialisti, per gli assistiti, la disciplina era ormai dispersa.
Dopo questa tranciante decisione del CUN, quell’intimo desiderio di costituire le scienze andrologiche in un’unica disciplina autonoma andò ad infrangersi.
L’andrologia non si sviluppò così come l’avevamo pensata, ma prevalse la frammentazione e per conseguenza venne a mancare quell’unica peculiarità richiesta alla fondativa andrologia, cioè quella di riunire in un unico comparto qui mille rivoli super specialistici, ma molto spesso “anemici”. Fu perso così l’unitario rapporto con tutte le problematiche che avevano dato origine all’unitario complesso delle scienze andrologiche e venne altresì a perdersi anche quell’unitaria sincera passione per una disciplina che al pari della ginecologia avrebbe dovuto tener desto il senso della unitarietà, di una disciplina, finalizzata a creare centri unici specializzati nell’assistenza di base dei problemi maschili, nelle sedi universitarie ospedaliere e territoriali.
Oggi certamente non possiamo ignorare che l’aspettativa di vita di un uomo che vive nel mondo Occidentale è inferiore di cinque anni a quello di una donna della stessa età.
Credo sia obbligatorio sottolineare l’interrogativo sul perché esista questo divario e quali misure possano essere adottate per coprirlo. Coprire il divario fra i sessi deve costituire un obbligo morale, affinché il diritto alla salute fisica e riproduttiva e sessuale non sia un diritto diluito in una sanità che a volte viaggia a due velocità, nord contro sud.
Occorre coprire questi divari che, tra l’altro, quando si parla di qualità di assistenziali maschili riguarda tanti parametri che vanno dalla disfunzione erettile alla mancata prevenzione e all’insorgenza dell’infertilità (sterilità, andropausa, malattie sessualmente trasmesse, osteoporosi, incidenze di tumori della pelle, del colon retto, della prostata, del testicolo eccetera).
“Bisogna – dice il prof. Milone (università, Napoli) riequilibrare l’attenzione dei medici e della popolazione per bilanciare, gli sforzi della ricerca con una impostazione adeguata delle politiche sanitarie regionali, uguali per tutti (e non differenziate per regione). Occorre provvedere alla più giusta omogenea e diffusiva erogazione di prestazioni mediche, in modo da individuare, produrre o potenziare le giuste strategie per prevenire e ridurre le discrepanze tra i due sessi.
È indubbio che il concetto di prevenzione riesca penetrare nella cultura del maschio italiano con difficoltà molto maggiore rispetto alla donna, ma quest’osservazione deve ancor più indurci alla creazione di centri specializzati per i problemi maschili che oggi mancano nel panorama assistenziale italiano ad esempio, non solo a livelli universitari e/o ospedalieri ma anche a livello consultoriale o nelle politiche territoriali o nelle case per la salute. Motivare maggior attenzione sulla salute al maschile è importante perché l’educazione alla salute della persona non deve essere qualcosa che si possa lesinare ad un sesso rispetto all’altro, né l’allocazione delle risorse può essere guidata da mode o da indici di maggior utilizzo di tecniche avanzate in medicina della riproduzione.
Paradossalmente comunque in questa dispersione, che ad alcuni è sembrata forte segnale di agonia dell’Andrologia, l’Andrologia stessa ha avuto modo di recuperare il tempo perduto: in realtà l’ingresso dell’andrologia nell’ambito della medicina della riproduzione e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita si è attuato e, all’interno di queste realtà, l’andrologia ha recuperato tutte le precedenti occasioni perse e rilanciato questa disciplina che si è posta come realtà di riferimento nelle tecniche di III livello (ICSI e nella micro iniezione).
Nella PMA la funzione dell’andrologo si concentra sulle nuove conoscenze di fisiopatologia dell’infertilità e della riproduzione, indispensabili per valutare la reale qualità del seme e ricercare quei fenomeni di frammentazione del DNA negli spermatozoi umani.
Avere oggi a disposizione esami capaci di testare l’integrità genomica dei gameti maschili appare ormai indispensabile. Occorre un lavoro pazientemente accurato per valutare non solo la reale qualità del seme, ma anche essere in grado di evidenziare nell’ambito della popolazione complessiva di spermatozoi presenti nel seme quelli caratterizzati dalla presenza di DNA frammentato.
Quest’ultima annotazione mi consente di accennare all’aspetto più nuovo che inserisce l’andrologia nell’ambito della medicina della riproduzione, specialmente in riferimento alle tecniche di microiniezione, che per loro natura si basano, come si sa, sull’impiego di un singolo spermatozoo: è questo un aspetto di fondamentale importanza, da quando la medicina, da puramente “curativa” è diventata, pur impropriamente, “procreativa”
Il futuro della genetica, e della farmacogenetica, ci riserverà forse possibilità ora non immaginabili.
Anche le tecniche chirurgiche in campo andrologico – nelle forme suscettibili di miglioramento con tali interventi – si sono notevolmente affinate. Basti pensare alla standardizzazione ed alla ottimizzazione delle tecniche di aspirazione dei gameti direttamente dall’epididimo o dal testicolo o alla ottimizzazione di tecniche per la correzione del varicocele, oggi possibile anche con metodiche di scleroembolizzazione retrograda o percutanea, o di tecniche video laparoscopiche sino a giungere alle tecniche di microchirurgia per interventi di ricanalizzazione o di anastomosi vascolari.
Ancora più stupefacente, la `violenza” di irruzione e la rapidità di evoluzione della andrologia nel campo della medicina clinica, recente, anzi recentissima, dell’Andrologia nei riguardi della disfunzione erettile (termine semantico che per convenzione ha sostituito quello di “impotenza” nella cui essenza era contenuto un implicito giudizio di disprezzo e di condanna nei confronti dei pazienti).
Il “muro del silenzio” intorno a questo problema è infatti caduto addirittura alla fine degli anni ’80.
In questo scenario l’Andrologia recupera il senso perduto e da “disciplina dispersa” diventa scienza sia interdisciplinare che intradisciplinare, migliorando le conoscenze e le prognosi in ambito endocrinologico, metabolico, morfologico, ultra strutturale endoteliale e ultimamente genetico.
Il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, non deve diventare il fallimento dell’andrologia.
La improvvida sottolineatura, sbandierata a destra e a manca, che basti un solo spermatozoo per risolvere un problema riproduttivo del maschio infertile, da taluni è stata giustamente vista come la banalizzazione dell’andrologia. Molti maschi infertili sono stati abbandonati ad un triste destino.
Mancando la facilità di accessibilità ai servizi di andrologia e bollando come inutili o futili le consultazioni andrologiche, certamente non abbiamo fatto un buon servizio alla collettività. Qualcuno poi parlando di “filiera riproduttiva controllata” ha parlato delle tecniche di PMA come tecniche di prima scelta, che se controllate in ogni fase garantiscono percentuali più elevate di nascite di bimbi sani.
Certamente a distanza dall’avvento dell’ICSI dobbiamo certamente riflettere sulle indicazioni ma anche sull’eccessivo, talora immotivato, ricorso a queste tecniche.
L’ICSI è tecnica utilissima nei casi più gravi di infertilità maschile, ma ne va lamentato l’abuso, anche perché questa tecnica solleva importanti problemi etici riferiti alle indicazioni e ai limiti da porre a queste tecniche divenute di prima opzione.
Sostanziali innovazioni hanno coinvolto i vari settori dell’andrologia: basti pensare al ruolo dell’andrologo nell’identità di genere, alla ricerca di fertilità della coppia in età sempre più avanzata, al problema della popolazione che invecchia e delle natalità in declino ed ancora alla questione morale sulle tecniche di riproduzione assistita, all’utilizzo dei gameti post mortem o alla moltitudine di embrioni congelati e in attesa di impianto o ancor più all’anticipazione sempre più acuta di una sessualità precoce multipartner nei giovanissimi che in questo periodo ci obbligano ancor più che nel passato alla prevenzione precoce delle virosi genitali anche in età scolare ecc.
Le percentuali di sterilità maschile sono in aumento e gli sviluppi registrati nelle tecniche di biologia molecolare e cellulare hanno aperto nuovi capitoli in tanti campi, ma soprattutto nell’era dei test genetici si è aperto il grande capitolo della identificazione in malattie genetiche prima della nascita, permettendo lo studio dei caratteri ereditari patologici direttamente sull’embrione allo stadio di poche cellule.
Proprio in questo momento in cui le tecnologie applicate alla riproduzione umana possono offrire interessanti possibilità per nuovi trattamenti terapeutici l’andrologia come branca a sé stante deve riprendere in ruolo determinante nella selezione dei gameti, nella diagnosi e nella terapia del maschio sterile o sub fertile e ancora potenziare le ricerche che se di qualità potranno indicare alternative capaci di ridurre il numero di insuccessi, di ridurre il numero dei mancati impianti e delle gravidanze biochimiche. Il trasferimento del genoma maschile, già organizzato in quanto tale, è praticamente possibile attraverso metodiche combinate di fertilizzazione in vitro e di micromanipolazione dei gameti, potendosi sanare così anche quei casi di incapacità degli spermatozoi a fertilizzare gli ovociti.
Queste possibilità e tante altre tecnologie avanzate spettano – ha concluso Boscia – agli andrologi che devono pretendere quel ruolo di ineludibile guida nei moderni percorsi di medicina della riproduzione.