BURNOUT, un libro e un film sulla tragedia dei suicidi degli agenti di polizia scritto e diretto da Marina Paterna
(di Francesca Proietti Cosimi) BURNOUT è la sindrome da esaurimento emotivo, di depersonalizzazione e derealizzazione personale, che può manifestarsi in tutte quelle professioni con implicazioni relazionali molto accentuate, può essere identificato come un tipo di stress da lavoro.
Come è nata l’idea di lavorare ad un film sulla polizia penitenziaria?
BURNOUT è un progetto nato dall’incontro con due agenti di polizia penitenziaria a seguito della lettura del mio libro HO SCONFITTO la mafia. IO SONO VIVO! Libro in cui tratto, oltre che la storia del piccolo Giuseppe Di Matteo figlio del collaboratore di Giustizia Santino Di Matteo, anche la Sindrome di stress da shock post traumatico, di cui sono vittime le persone che assistono o vivono esperienze traumatiche in prima persona o che assistono i familiari che le hanno subite.
È stato proprio dopo la lettura delle pagine del mio libro che mi hanno spontaneamente raccontato le loro paure, le loro sensazioni, i loro stress, portandomi numeri, testimonianze e casi di vittime suicide. Devo molto a questi uomini perché hanno costantemente nutrito, anche a distanza, la mia curiosità e la mia voglia di sapere e conoscere quali pesi dovessero sopportare e portare dentro quotidianamente questi eroi.
Li ha definiti Eroi. Ci spieghi perché.
Sono uomini, gli Agenti di polizia penitenziaria, che, seppur apparentemente liberi, nelle ore di lavoro stanno rinchiusi come i detenuti che sorvegliano. Condividono con loro spazi, luoghi, sensazioni, angosce, urla, tentativi di suicidi e di soprusi. Non possono distrarsi un attimo. Si fanno carico di tutte le loro richieste, delle loro necessità. Costanti sono i tentativi di corruzione. Sono le stesse persone di cui i detenuti si fidano, a cui chiedono ma le stesse di cui diffidano, che, quindi, amano e che odiano. Gli Agenti del resto detengono le chiavi della loro libertà. Vegliano e sorvegliano ma sono in uno stato costante di ansia e di pericolo loro stessi in prima persona.
Adesso vi faccio io una domanda in qualità di autrice. Chi si preoccupa degli Agenti di Polizia Penitenziaria? Chi si occupa delle loro paure? Chi li libera dal proprio stress e dallo stato di tensione cui sono costantemente sottoposti durante la giornata lavorativa, quando, arrivati nelle loro case, devono tornare alla vita normale, ad essere madri, padri, mogli o mariti?
Un dettaglio questo da non sottovalutare, tanto che all’interno delle carceri si inizia a riscontrare un certo interesse in merito a questa sindrome come ci diceva.
I casi di cronaca elencati dai telegiornali sono stati fondamentali, perché hanno permesso di portare alla luce questo fenomeno. Gli psicologi supportano i casi segnalati da colleghi, laddove si assiste o si riscontra un cedimento psicologico degli Agenti stessi. Lo scopo è tutelare la loro salute psichica.
Chi l’ha motivata e le ha consigliato di approfondire l’argomento?
Sono stati un Agente e un suo collega, di cui, per rispetto della privacy, preferisco non svelare i nomi. Sono stati loro che, per primi, mi hanno raccontato ed informato costantemente di tutte le notizie di cronaca inerenti ai suicidi dei loro colleghi del corpo di polizia penitenziaria. Da lì la decisione di scrivere un libro insieme a loro, libro pronto per diventare un film. Non ci ho pensato due volte. Grazie a loro ho studiato i mille casi e ho iniziato. Devo molto a loro.
Durante i loro racconti che sensazione ha prevalso in lei?
I racconti dei due Agenti mi hanno lasciato senza parole. Mi hanno fatto riflettere ed entrare dentro i singoli casi di cronaca, facendomi scoprire una sola costante: BURNOUT.
Grazie alle loro testimonianze quindi è entrata dentro la notizia come lei ama fare quando segue i suoi casi?
Si, devo assolutamente ringraziare loro perché mi hanno istruito, emozionato e fatto vivere le loro paure, le loro angosce, permettendomi di conoscere quanto grande sia spessa la corazza che devono indossare quotidianamente, quando sono davanti ai detenuti e come spesso si sentano soli. Vengono studiati, analizzati e, a volte, minacciati dagli stessi detenuti che sono chiamati a sorvegliare. Uno contro venti. Eppure devono mantenere il controllo, la calma davanti suicidi, tentativi di fuga o uomini che divorano cose, infliggendosi gravi lesioni.
Il suo ruolo nella vicenda, una donna che indaga entrando nei fatti di cronaca, ci ricorda il caso della giovanissima giornalista interpretata da Jodie Foster, che insegue e si avvicina a casi più grandi di lei.
Sì, fu il caso di Hannibal Lecter. Indimenticabile. Credo che questo film abbia molto influito sulla mia crescita professionale e artistica in qualità di sceneggiatrice, regista ed attrice.
Un inizio così promette bene. Già vincitrice del premio Peppino Impastato per la sua opera Prima HO SCONFITTO la mafia. IO SONO VIVO! Dunque le auguriamo il meglio nello sviscerare temi e casi di grande attualità.
Grazie infinite e dunque, al prossimo caso.