Un programma basato sull’Intelligenza Artificiale è riuscito a progettare un nuovo farmaco in 46 giorni invece che negli otto anni necessari in media a ricercatori ‘umani’. Il lavoro della start up Insilico Medicine e dell’università di Toronto, che hanno cercato una potenziale cura per la fibrosi, cioè la cicatrizzazione dei tessuti che avviene in alcune malattie, è descritto su Nature Biotechnology.
L’algoritmo, il cui codice è stato messo a disposizione di tutti, ha esaminato tutte le ricerche precedenti su molecole che avevano come obiettivo una particolare proteina essenziale nel processo di fibrosi, dando la priorità a strutture nuove che potessero essere sintetizzate in laboratorio. In 21 giorni il programma ha ideato 30mila ‘candidati’, sei dei quali sono stati effettivamente sintetizzati. Due di questi sono stati testati su cellule e il più promettente dei due anche sui topi, mostrando una attività ‘simile a quella di un farmaco’ contro la proteina.
In tutto il processo ha richiesto 46 giorni e circa 150mila dollari di fondi, valori molto inferiori a quelli dei metodi tradizionali. “Questo studio – concludono gli autori – illustra l’utilità del nostro modelli per un design rapido di molecole facili da sintetizzare, attive contro un obiettivo specifico e potenzialmente innovative”.
Quanto può aiutarci l’intelligenza artificiale a creare farmaci più efficaci e, se vogliamo allargare l’orizzonte, a migliorare le terapie mediche (dunque, la nostra salute)? Molto, secondo gli esperti che parteciperanno, mercoledì 9 ottobre, al Forum “How Artificial Intelligence can change the pharmaceutical landscape”.
Il Forum verrà poi seguito alle 18.30 dal Convivium, in italiano, sul tema “Futuro + umano”, durante il quale Boas Erez, rettore dell’Università della Svizzera italiana, e Alessandro Curioni dialogheranno con Francesco Morace, sociologo e presidente del Future Concept Lab, sui nuovi scenari che si aprono in seguito all’uso sempre più ampio dell’intelligenza artificiale e di altre tecnologie avanzate, e anche sui problemi etici collegati (a partire dalla protezione dei dati personali, che vengono utilizzati in abbondanza dai super-computer).
“L’intelligenza artificiale – dice Morace – non potrà mai replicare quella umana, dotata di empatia, capacità intuitiva e altre caratteristiche che le macchine non sanno copiare. Insomma, il futuro sarà sempre più umano, ma sarà proprio l’intelligenza artificiale a farcelo scoprire”. Condurrà la serata Damiano Realini, giornalista della RSI.
AI in medicina: dalla ricerca di nuove molecole, al supporto diagnostico
Le possibili applicazioni dell’intelligenza artificiale ai diversi settori della ricerca scientifica e, più in generale, della salute sono molto vaste: innanzitutto, i sistemi di AI permettono di studiare in tempi molto più rapidi, e con maggiore efficacia rispetto ai metodi tradizionali, le molecole che appaiono potenzialmente ‘attive’ per curare malattie anche gravi come i tumori (i laboratori di ricerca e le case farmaceutiche si avvalgono sempre più frequentemente di questi sistemi). Ma l’intelligenza artificiale aiuta anche a riposizionare (si dice così in termine tecnico) una serie di farmaci che erano stati approvati per un certo tipo di malattia e invece si dimostrano in grado di curare anche altre patologie. Grazie all’intelligenza artificiale si sta poi cominciando a trovare rimedi per patologie rare e ‘abbandonate’ (o, come vengono definite, orfane).
Ma non basta: sistemi come “Watson for Oncology”, messo a punto dall’IBM in collaborazione con il Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York (uno dei più importanti ospedali oncologici del mondo), aiutano i medici a scegliere le terapie migliori nei casi più difficili, o a indirizzare i pazienti verso i “trial clinici” (le sperimentazioni di nuovi farmaci) più adatti nel mondo.
Sempre l’IBM ha in corso un progetto di studio insieme all’ospedale universitario di Zurigo per perfezionare un sistema automatico in grado di esaminare i “vetrini” (cioè i frammenti di tessuto prelevati con una biopsia, o durante gli interventi chirurgici) e identificare in modo preciso le alterazioni provocate dalle diverse malattie, affiancando il lavoro degli anatomopatologi. Ma anche altre aziende e istituti di ricerca si muovono in questa direzione.
Per funzionare bene e per fornire risultati attendibili, i sistemi di intelligenza artificiale hanno bisogno di enormi database da cui trarre le informazioni, che vengono poi elaborate tramite computer molto potenti, ‘governati’ da algoritmi ad hoc e da reti neurali (sistemi, cioè, che imitano per certi aspetti l’organizzazione delle cellule nervose umane): è questo il “Deep learning”.
Il Ticino è molto attivo in questo settore, con l’IDSIA in prima linea. A questo proposito, è stato recentemente definito un accordo di collaborazione fra IDSIA ed Ente Ospedaliero Cantonale (EOC, che gestisce la Sanità pubblica in Ticino) per l’applicazione di metodologie avanzate di intelligenza artificiale ai dati forniti dall’Ente.
Ma sono in corso anche altri progetti: “Uno dei più importanti coinvolge, oltre a IDSIA, anche l’Istituto malattie tropicali di Basilea, il Politecnico di Zurigo e il Dipartimento di farmacologia dell’Università di Ginevra – spiega Andrea Danani, responsabile del laboratorio di Biofisica computazionale dell’IDSIA, e coordinatore scientifico del Forum del 9 ottobre – Stiamo esaminando, in particolare, il meccanismo d’azione di una pianta africana che risulta attiva contro la malattia di Chagas, molto diffusa nell’America centrale e meridionale. In questi casi l’intelligenza artificiale può apportare un aiuto determinante”.
È molto più difficile, invece, progettare da zero una nuova molecola (una molecola, cioè, che non esiste in natura). “Finora non è stato possibile – dice Ed Griffen – perché non comprendiamo ancora in modo sufficientemente accurato i meccanismi chimici e biologici che porterebbero i nuovi composti a legarsi agli enzimi e ai recettori cellulari, e anche i modi in cui queste nuove molecole verrebbero assorbite o espulse dall’organismo”.
Ma gli studi su questo versante continuano, e le prospettive di creare farmaci completamente nuovi grazie a un uso massiccio dell’intelligenza artificiale appaiono concrete. È solo questione di tempo. Certo, i risultati ottenuti dai sistemi di intelligenza artificiale vanno poi confermati in laboratorio, con le tecniche tradizionali, ed è ormai chiaro a tutti che i sistemi di AI devono affiancarsi agli uomini, aiutarli a eseguire rapidamente calcoli o “confronti” che richiederebbero una vita intera, senza però mai sostituire “in toto” gli esseri umani.
“Questi sistemi non sviluppano ancora ‘pensiero’ – conferma Boas Erez – ma hanno una potente capacità di analizzare statisticamente i dati a disposizione (enormi masse di dati), migliorando le loro performance man mano che procedono. Le macchine vengono programmate per imparare, seguendo gli algoritmi scritti dagli esseri umani. Come avviene con gli animali addomesticati dagli uomini, che vengono spinti ad andare avanti grazie anche a una serie di incentivi (gli zuccherini…), anche negli algoritmi sono contenuti ‘premi’ per le macchine che imparano da sole, in modo da stimolarle a fare sempre meglio”.