La Task Force 44 ieri in Iraq a Kirkuk è incappata, durante una perlustrazione addestrativa per strada, in un ordigno rudimentale noto come IED. 5 i feriti di cui 3 gravi, hanno subito danni agli arti inferiori e ad uno è stato necessario amputargli parte della gamba. L’attentato è avvenuto a ridosso del 12 novembre, quando avvenne l’attacco alla base italiana di Nassirya.
“Al momento non abbiamo gli elementi per affermare se l’ordigno era lì per colpire i nostri militari né per dire che ci sia una connessione con la strage di Nassirya – ha detto a Sky TG24 l’Ammiraglio Fabio Agostini, portavoce Stato Maggiore della Difesa – I soldati sono stati trasferiti a Bagdad, non sono in pericolo di vita ma hanno riportato traumi importanti. A un militare è stata amputata la gamba al di sopra del ginocchio, per un altro traumi interni con emorragie. Per un altro, invece, traumi meno importanti. Ci sono poi due militari della marina, a uno dei quali è stato asportata parte del piede mentre l’altro presenta diverse fratture agli arti inferiori. Le condizioni di tutti i militari sono stabili ma sono chiaramente molto serie“.
Kirkuk è una delle ultime roccaforti di quello che rimane dell’Isis in Iraq e i nostri soldati, inseriti nella forza internazionale, sono dispiegati in quell’area per addestrare soldati iracheni e pashmerga curdi. Scrive Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera, la prima pista che viene in mente per individuare i responsabili è quella dell’Isis. Alcune sacche di irriducibili dell’autoproclamato Stato Islamico tre giorni fa con 17 razzi Katiuscia, dalla parte urbana di Mosul, avevano colpito una base sempre nei pressi di Mosul, dove l’Italia ha costituito un ospedale e dove sono posizionati anche alcuni contingenti delle forze speciali irachene con gli istruttori americani. La fortuna ha voluto che i tiri fossero imprecisi, nessuna vittima registrata sul campo. Forse un avvertimento?
Sempre Cremonesi cerca di fornire una spiegazione. Con lo scoppio delle rivolte popolari in tutto il Paese contro il governo del premier Adel Abdui Mahdi, le forze di sicurezza irachene sono costrette ad abbandonare la sorveglianza anti-Isis per controllare le piazze. Le cellule del Califfato hanno così tempo e libertà per riemergere.
Il popolo è sceso in piazza chiedendo pane, lavoro, ma soprattutto denunciano la corruzione dilagante negli apparati dello Stato e vorrebbero la sostituzione della classe politica. Un movimento che somiglia sempre più quello artefice di sommosse in Libano.
I morti delle sommosse superano 300 persone, migliala sono i feriti. Le grandi città, specie del centro-sud, sono paralizzate. Una condizione ideale per l’Isis che starebbe cavalcando la protesta sunnita (il deposto Saddam Hussein era sunnita) contro gli apparati dello Stato dominati dalla maggioranza sciita.
Mosul
Mosul è contesa per via delle aree petrolifere. Non è un caso che il presidente Erdogan si fa paladino della minoranza turcomanna per riguadagnare influenza sulla regione. Ma, in particolare, fu Saddam Hussein negli anni Ottanta e Novanta a fare la guerra ai curdi a suon di trasferimenti forzati di centinaia di migliala di arabi sunniti a Kirkuk, allontanando i curdi a nord del governatorato. Dopo i conflitti del 1991 e soprattutto del 2003 i curdi ripresero però il controllo di Kirkuk e dei pozzi. Vantaggio che rafforzarono dopo il loro intervento, garantito dagli americani, contro l’Isis vittorioso a Mosul nel giugno 2014. Ma la scelta curda di indire un referendum per la totale indipendenza da Bagdad il 15 settembre 2017 fu il classico passo più lungo della gamba. L’esercito iracheno reagì con durezza, riprese Kirkuk con le armi, i curdi si divisero tra loro e vennero intemazionalmente criticati anche dagli alleati più fedeli, tra cui l’Italia.