(di Nicola Simonetti) Sulla base anche del sondaggio “Le voci contano” che ha messo in evidenza importanti lacune informative riferite dai malati in merito alla malattia, al percorso di cura e alle conseguenze causate da un tumore del sangue sulla qualità di vita e per rispondere in modo più incisivo ai bisogni dei pazienti è stata costituito e presentato a Rona, F.A.V.O. Neoplasie Ematologiche, il primo network nazionale, nato all’interno della storica Federazione di Associazioni Pazienti di Volontariato in Oncologia (F.A.V.O.), che riunisce le Associazioni Pazienti con tumori del sangue (presidente Davide Petruzzelli): una nuova ed importante realtà associativa che vuole rispondere ai bisogni delle persone che hanno ricevuto o che riceveranno diagnosi di neoplasia ematologica. Sono oltre 30.000 ogni anno in Italia le persone che ricevono una diagnosi di neoplasia ematologica:
è in costante aumento l’incidenza, ma anche il numero di chi guarisce o cronicizza la malattia.
Dal sondaggio, emerge un dato significativo: due terzi degli intervistati (65%), al momento della diagnosi, non sono a conoscenza della esistenza al momento della diagnosi, e poco meno della metà (41%) è stato invitato a contattarle, perlopiù da altri pazienti. Per contro, circa l’80% di chi vi si è rivolto ha trovato molto utile il supporto ricevuto. La metà dei pazienti la malattia ha causato problemi nella sfera lavorativa propria e dei familiari, mentre più del 30% ha incontrato difficoltà nell’accesso al credito e ai prodotti assicurativi.
La nascita di F.A.V.O. Neoplasie Ematologiche si inserisce in un contesto epidemiologico caratterizzato da una crescita costante dell’incidenza delle malattie onco-ematologiche: negli ultimi 13 anni, infatti, le diagnosi di Linfoma Non Hodgkin sono aumentate del 45% e quelle delle leucemie del 26%
Oggi, la sopravvivenza a cinque anni per tutte le forme di leucemia si aggira intorno al 43% negli adulti, al 50% nel mieloma e raggiunge per il Linfoma di Hodgkin il 75%, grazie soprattutto alla ricerca e a terapie innovative che hanno radicalmente modificato la storia clinica di queste malattie.
«Oggi in Italia – dice Francesco De Lorenzo, presidente F.A.V.O, vivono circa 900.000 persone guarite dal cancro, e questo è un dato nuovo ed estremamente importante poiché impone alle Associazioni Pazienti un nuovo obiettivo: lavorare coese per eliminare le barriere che ostacolano il ritorno alla vita normale. «Dato che oggi grazie alla ricerca si può guarire, una diagnosi in giovane età non può costituire un ostacolo insormontabile all’inclusione sociale e lavorativa e, di conseguenza, alla piena realizzazione della propria vita».
Molte le carenze informative lamentate dai pazienti: infatti solo il 35%degli intervistati aveva sentito parlare della sua patologia prima della diagnosi, e prevalentemente attraverso la televisione e la radio o da parenti e amici, mentre più di due terzi degli intervistati (73%) non sa cosa sia un campione biologico, uno strumento fondamentale per una diagnosi corretta e per la ricerca di nuovi trattamenti, nel momento in cui il paziente decide di affidarlo ad una biobanca. «Quando questo accade, il paziente ha diritto non solo ad una informazione accurata, ma anche a dare un consenso informato alla ricerca, diverso e molto più dettagliato di quello che si firma per l’accesso alle cure» –spiega Elena Bravo, Senior Researcher dell’Istituto Superiore di Sanità.«Un paziente informato, consapevole delle potenzialità del proprio campione, oltre a vigilare su un uso corretto del proprio materiale biologico, può fornire un contributo essenziale nella definizione dei principi di gestione etici, sociali e scientifici».
Altro rilevante deficit informativo emerso dal sondaggio riguarda il Consenso Informato. L’80% degli intervistati dichiara di aver firmato un Consenso Informato, ma solo il 66% ritiene di aver ricevuto un’informazione chiara e completa sulle cure.«Il Consenso Informato non è un atto istantaneo»–DICE Francesco Angrilli, Responsabile Centro Diagnosi e Terapia Linfomi dell’Ospedale Civile Spirito Santo, Pescara –«bensì è una vera e propria procedura nell’ambito della quale il paziente deve essere anche messo nelle condizioni di porre domande e ricevere risposte dal medico, del tempo necessario, se lo ritiene, per discutere della proposta con i propri familiari, medici e/o persone di fiducia, prima di comunicare la propria decisione». Troppo spesso invece l’adesione si limita a una firma su un documento non compreso appieno e sottoscritto in un momento di grande fragilità emotiva.
In merito infine al supporto psicologico, più della metà dei pazienti intervistati (64%) ha dichiarato di non avere ricevuto alcuna proposta di assistenza specialistica: tutti coloro che, al contrario, hanno usufruito di uno psicologo attraverso i servizi offerti dalle Associazioni Pazienti, ne hanno tratto grandi benefici, a livello personale e di nucleo familiare.
Un’informazione negata o poco esaustiva si traduce in minori opportunità di opzioni di cura, come l’accesso a studi clinici sperimentali: meno del 20% vi ha partecipato e solo l’11% ha ricevuto spiegazioni di cosa si trattasse: il fatto che la stragrande maggioranza non abbia risposto alla domanda è chiaro segno di una mancanza di condivisione tra medici e pazienti delle informazioni sulle opzioni terapeutiche.
I percorsi terapeutici oggi si snodano attraverso tempi sempre meno trascorsi nelle strutture ospedaliere e sempre più sul territorio e i pazienti, diversamente da un tempo, a volte riescono a condurre una vita vicina alla normalità, prevalentemente vissuta lontano dal proprio specialista di riferimento: per questo il ruolo del MMG è determinante. «Al fine di evitare ulteriori disagi al paziente, già provato dal carico della malattia» –sottolinea infatti Paolo Spriano, Vice Presidente SNAMID –«è auspicabile che si migliori la comunicazione tra specialista ematologo e MMG e tra queste due figure mediche e il paziente, creando quella triangolazione necessaria a trasferire in modo corretto le informazioni che riguardano l’evoluzione della patologia e della cura. In uno scenario di crescita di consapevolezza sul ruolo della comunicazione tra medico e paziente, le Associazioni, grazie anche al loro capitale di speranza e di esperienza, possono svolgere un ruolo di grande supporto».