(di Luigi Alfano) In Italia, un reato poteva essere estinto, se passava un tempo eccessivo e veniva meno l’interesse dello Stato: cadeva in prescrizione. Con la pubblicazione in G.U. (nr. 13 del 16 gennaio 2020) della Legge 9 gennaio 2020 nr.3, detta “Spazzacorrotti”, che introduce “misure per il contrasto dei reati contro la Pubblica Amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici”, ciò non accadrà più.
La novità normativa fissa il blocco della prescrizione dopo la sentenza (condanna o assoluzione), decretando formalmente la sostituzione del secondo comma dell’art. 159 c.p. e la parallela abrogazione del terzo e quarto comma del prefato articolo, oltre che del primo comma dell’art. 160 c.p..
La modifica non fa altro che anticipare il termine di prescrizione [del reato], pertanto il dies ad quem è individuato nel momento in cui interviene la sentenza di primo grado. L’errore epistemologico, è considerare, la prescrizione quale fuga dal processo, e non causa di estinzione del reato. Il nodo cruciale, è comprendere che la maggior parte delle prescrizioni maturano nella fasi anteriori al giudizio, che restano frequenti sospese ad libitum nelle maglie delle indagini preliminari.
L’inganno “giuridico” sarebbe non considerare i vulnus costituzionali lesi, primo fra tutti il venir meno del tempo certo di definizione del processo, in palese contrasto con il principio affermato nell’art.111 della Costituzione “la legge ne assicura la ragionevole durata“.
La protrazione illimitata implicherebbe una sofferenza intollerabile, tanto giudiziaria quanto personale, gravata dalla ben nota endemica lentezza della giustizia penale. La riforma, oltretutto, mina la presunzione di innocenza, rendendo così il consociato un presunto colpevole o ancora peggio un “eterno imputato”.
Altresì, l’inviolabilità del diritto alla difesa (art. 27 Cost.) verrebbe pregiudicata, in quanto a distanza di tempo, le possibilità, di difendersi nel contraddittorio delle parti, si contrarrebbero in modo significativo. Nella direzione evocata, gli effetti negativi del cambiamento si traslerebbero, anche, nei confronti delle vittime-persone offese, che, in assenza di una condanna al pagamento di una provvisionale a carico dell’imputato, nei limiti del quale si ritiene già raggiunta la prova in giudizio, vedrebbero il loro diritto al risarcimento del danno procrastinato a data indefinita.
Abolire la prescrizione del primo grado di giudizio è credere di assumere il paracetamolo, quale soluzione (in)capace di curare la febbricitante lentezza del processo; ma esso non é che il placebo di un’inefficienza eziopatologica del nostro sistema penale in cui l’istituto della prescrizione vive.
La prescrizione è un tema assai rovente e delicato, l’obiettivo di chi scrive, è “fotografare” il soggetto del processo, sul quale verrà riversato l’incapacità di aggiornare il sistema processuale ai dettami costituzionali ed europei, rendendolo un perpetuo imputato di una giustizia meno “umana” e prigioniero delle stimmate di un sistema meno garantista. Il prof. Calamendrei alla cerimonia di insediamento del Primo Presidente e del Procuratore Generale della Corte di Cassazione proferì “il processo, e non solo quello penale, di per sé è una pena, che giudici e avvocati debbono abbreviare rendendo giustizia”.
La cura si dimostrerà peggiore della malattia?