(di John Blackeye) Milano 28 marzo 1944. Bombardamento britannico. 18 morti e 45 feriti. Milano 17 marzo 2020. Coronavirus. Più di 200 morti in un solo giorno.
Non mi risulta che durante la guerra, ai tempi dei bombardamenti di Milano, una folla enorme si affacciasse festante ai balconi delle altre città italiane, per cantare a squarciagola e cercare di esorcizzare il male. Quei 18 morti sotto i bombardamenti meritarono rispetto e credo che meritino rispetto anche i 345 morti di oggi che si sono registrati in tutta Italia per il Coronavirus.
È chiaro che si alzeranno gli scudi di tutti quei cantanti improvvisati che hanno deciso di stornellare come se nulla fosse fuori dai balconi ma il tempo che stiamo vivendo forse è ancora più grave di quello che i nostri nonni hanno vissuto durante l’ultima Guerra. Si, perché il bollettino della Protezione Civile emanato oggi non dà spazio ad altre interpretazioni: è un bollettino di guerra.
In questo ipotetico campo di battaglia, gli eroi questa volta, non sono soldati o piloti d’aeroplano ma sono i medici, gli infermieri, le cassiere dei supermercati e infine, l’intero popolo italiano che un po’ per paura e un po’ per scelta si è rinchiuso in casa cercando di evitare il proliferare del contagio e sta cercando di rispettare – forse per la priva volta – le leggi dello Stato.
Di fronte all’impossibilità di fare qualcosa, di fronte ai limiti umani credo che una delle soluzioni sia proprio quella di manifestare ed insegnare ai giovani un profondo senso del rispetto. Rispetto per quelle vittime che non hanno un volto ma che si presentano davanti a noi, ogni giorno, sotto forma di numeri. Adulti, anziani, giovani e meno giovani – parte di noi – si sono ritrovati da un giorno all’altro a combattere una battaglia che non avrebbero voluto combattere e, purtroppo, l’anno persa. Non possiamo cantare a squarciagola le strofe di Rino Gaetano fuori dai balconi ma non cambia nulla. E non si può esorcizzare il momento drammatico, nemmeno cantando l’Inno nazionale che merita collocazioni sicuramente più solenni e non può diventare la colonna sonora di un film a puntate che non riesce a vedere ancora il lieto fine.
Il lieto fine lo possiamo scrivere tutti, con il nostro comportamento responsabile. Sono richiesti grandi sacrifici, cambiamenti di abitudini (e questo forse non sarebbe un male visto che siamo diventati una società al veleno) e questi sacrifici occorre sopportarli. Se ci chiedono di rimanere in casa non possiamo trovare scuse o alternative. Il virus lo si uccide fermandone il contagio.
Certo, mi verranno a dire che la gente ha bisogno del suo sfogo e che cantare fa bene ma ci sono momenti per cantare e momenti per tacere, momenti per scherzare e momenti per riflettere. Non abbiamo vinto una coppa del mondo di calcio, non c’è alcun motivo di urlare e se ci manca tanto quel senso di unità e di attaccamento alla nazione che riusciamo a sfoggiare sui balconi, allora faremmo meglio a coltivare questo sentimento nei momenti di normalità nei quali, invece, uscendo di casa al mattino, voltiamo imbronciati lo sguardo dall’altra parte per evitare un “buongiorno” al nostro vicino di casa. Cominciamo da li e vedremo grandi trasformazioni attorno a noi, cambiamenti che pretendiamo invece sempre dagli altri.
Ecco, se sentiamo di essere italiani e sentiamo di essere uniti, cerchiamo di dimostrarlo nei momenti di serenità che ritorneranno, quando potremo dedicare parte della nostra quotidianità a favore dell’interesse nazionale, quando anziché criticarci addosso e sparare su tutto, avremo l’occasione di non essere più zavorre di una grande nazione ma di essere molecole viventi di uno Stato, quello italiano, che merita di occupare posizioni di rilievo molto più alte nello scenario internazionale.
Ma fino a quando usciremo dai balconi a canticchiare filastrocche scritte da qualche cantautore di successo, il senso di responsabilità che dovrebbe appartenerci nel quotidiano, stenterà a germogliare.
Facciamo tesoro di questi momenti tristi per innescare, appena sarà possibile, una marcia in più nelle nostre vite e, per conseguenza, in quella della nostra Amata Italia.
Al momento però, di fronte a 350 morti al giorno che non trovano posto nemmeno degli obitori, mettetevi una mano sulla coscienza e se proprio volete fare qualcosa di concreto, invece di cantare con i telefonini in mano fuori dai balconi, innalzate una preghiera a Dio per l’Italia e per le Anime di quei poveri fratelli che ci stanno lasciando in questi giorni. Solo così le cose cambieranno.