Così Di Maio ai microfoni di Rtl: “Nuovo obiettivo del partito e costruire una leadership collegiale, forte e legittimata dal voto”.
(di Massimiliano D’Elia) In questa frase si racchiude tutto il disagio dei big del Movimento di fronte ai sondaggi impietosi che vedono un’emorragia di voti persi in tantissimi territori italiani. Ormai il dado è tratto, la scelta di allearsi con il Pd a livello nazionale e poi anche a livello locale non ha prodotto alcun risultato in termini di consenso. Un’alleanza che ha rinvigorito il Pd portandolo nelle stanze dei bottoni e reso sempre più popolare Giuseppe Conte, tant’è che ora starebbe pensando di fondare un suo partito stile vecchia democrazia cristiana, abbandonando al loro destino proprio coloro che gli hanno dato vita politica. Luigi Di Maio ora cerca di anticipare le mosse dei suoi rivali interni nel tentativo di salvare il salvabile.
L’idea per ora solo sussurrata da Di Maio, dopo la tornata elettorale, sono gli Stati generali nel mese di ottobre. La stessa proposta venne fatta, in tempi non sospetti, anche da Alessandro Di Battista, una soluzione che di fatto pone però ai confini delle decisioni proprio la base del Movimento, considerata una volta la spina dorsale grillina. Al congresso dovrebbero partecipare delegati nominati tra gli eletti di ogni territorio, ovvero parlamentari, sindaci, consiglieri regionali e comunali e una partecipazione puramente rappresentativa “online” degli attivisti.
L’attuale capo politico Vito Crimi dai primi commenti non pare essere entusiasta della nuova linea di escludere in maniera così plateale la base mandando in archivio un “modus operandi” che ha contraddistinto la genesi del Movimento. La risposta di Di Maio non è tardata: “Crimi sta facendo l’impossibile, però è reggente, non è stato eletto”.
Luigi Di Maio starebbe quindi cercando di aggregare il più possibile per creare un nocciolo duro intorno alla sua figura. Una specie di “giglio magico” di Matteo Renzi. I grillini starebbero pensando, quindi, ad una “segreteria allargata” dove potrebbero convergere tutti i big del partito, Alessandro Di Battista incluso. Un’entità che girerebbe sempre a Luigi Di Maio, naturalmente. Altra novità è la mozione da portare ai voti per modificare lo statuto per quanto riguarda la piattaforma Rousseau, marginalizzando sempre più Davide Casaleggio.
Per quanto riguarda l’esperienza di governo, si starebbe già parlando di un governo Conte “ter”. Una crisi tecnica pilotata per sostituire alcuni ministri che non hanno brillato durante l’emergenza pandemica: la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina e del Lavoro, Nunzia Catalfo, in quota M5S e per il Pd quella dei Trasporti, Paola De Micheli. La scure anche sulla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese.
Certo è che un rimpasto nei ministeri di “rango” come questi dovrà passare dalla fiducia delle due Aule del Parlamento, così come ha già detto il Quirinale.
Una fiducia, quindi, che già si preannuncia piena di insidie “pericolose” per via della risicata maggioranza su cui il governo può contare in Senato.