A febbraio 2017, ieri insomma, la firma a Palazzo Chigi dell’intesa da parte del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni e del primo ministro libico Fayez al Serraj, dove si definivano gli impegni del Viminale a favore di Tripoli sul fronte del contrasto all’immigrazione illegale. Motovedette, sistemi radar per il controllo degli sterminati confini desertici a Sud, addestramento degli ufficiali della Guardia costiera e della Marina libiche, finanziamento dei centri di accoglienza locali e formazione del personale che ci lavora.
Il memorandum sottoscritto indicava che l’Italia doveva fornire “supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina“. Nell’officina navale della Guardia di finanza di Miseno (Napoli) sono state messe a punto tre motovedette, consegnate la scorsa primavera agli ufficiali di Guardia Costiera e Marina libiche.
Si trattava di tre delle sei imbarcazioni che l’Italia ha donato alla Libia tra il 2009 ed il 2010, facendo seguito al Trattato di amicizia firmato nel 2008 tra Silvio Berlusconi e Muhammar Gheddafi. Le altre tre non sono state più recuperate dopo i danneggiamenti subiti dai mezzi della coalizione che ha attaccato il regime del rais nel 2011.
89 ufficiali e sottufficiali libici si sono addestrati a bordo dei mezzi di Eunavformed, per acquisire familiarità con le imbarcazioni che avrebbero poi dovuto gestire. Successivamente, ulteriori imbarcazioni – dovrebbero essere attorno a dieci complessivamente – verranno cedute alle forze di Tripoli.
L’obiettivo, secondo quanto annunciava all’epoca l’ammiraglio Enrico Credendino, comandante della missione europea, “era quello di consentire alla guardia costiera libica di avere mezzi per pattugliare le proprie acque territoriali dove gli italiani non potevano entrare”.
Altro impegno importante e sostanziale per l’Italia, contenuto nel Memorandum è il “completamento del sistema di controllo dei confini terrestri del sud della Libia, secondo quanto previsto dall’articolo 19 del Trattato” di amicizia del 2008. L’articolo 19 del Trattato Berlusconi-Gheddafi prevedeva che la realizzazione del sistema fosse affidato a “società italiane in possesso delle competenze tecnologiche necessarie”: Selex, del gruppo Leonardo-Finmeccanica, il nome indicato. L’Italia, sempre secondo il Trattato, si è impegnata a sostenere il 50% dei costi, mentre per il restante 50% “Italia e Libia avrebbero chiesto all’Unione europea di farsene carico”. La spesa prevista a carico dell’Italia, salvo errori, era pari a 150 milioni di euro.
C’è poi la parte che riguarda i Centri di accoglienza per migranti, da sempre nel mirino delle associazioni umanitarie che ne contestano le condizioni e la mancanza di rispetto dei diritti umani. L’Italia doveva stanziare i fondi per adeguare queste strutture, fornire medicinali e formare il personale libico che vi opera.
E’ proprio un bel memorandum, dove si sancisce per iscritto la stretta collaborazione tra la Libia e l’Italia.
Come visto però, dopo l’elezione di Macron in Francia tutto è cambiato.
Gli impegni presi con Serraj lo scorso febbraio, negli ultimi giorni rischiano di vacillare, poiché a quanto pare il Generale Haftar, ha più polso nella politica estera, ovvero è maggiormente sostenuto dai Francesi, rispetto a Serraj, autorità riconosciuta dall’Onu, quale primo ministro del Governo di unità nazionale.
Nel frattempo il vice di Serraj Al-Mejbari alla Tv Libya Channel ha detto il 4 agosto scorso sulla missione della marina militare italiana in Libia: “E’ una violazione della sovranità del Paese e degli accordi in vigore e ha lanciato un appello all’Onu, alla Lega Araba e all’Unione Africana. La Farnesina, in risposta ha detto: “Parole che non minano la cooperazione. Rientrano nella dinamica del dibattito interno a Tripoli”.
Però, anche il vice di Haftar ci sopporta poco e invita i cirenaici a non fare affari con gli italiani. A questo punto sorge spontanea la domanda, con chi fanno affari, allora? Sicuro con i francesi, russi, cinesi e qualche ONG.
Il Gen Haftar ha rincarato la dose dicendo di non aver bisogno di aiuti per controllare le sue acque territoriali, e che avrebbe bombardato chiunque avesse oltrepassato i confini delle acque libiche.
Sempre Haftar ha invitato la comunità internazionale a pensare solo ai confini a sud della Libia, quelli del deserto per intenderci, e lasciar stare il Mediterraneo.
In sostanza il Generale Haftar chiede di mettergli a disposizione soldi, armi e sistemi per organizzare un’adeguata border security.
Al riguardo si potrebbe concordare la linea proposta, ma prima il Gen. Haftar dovrebbe rendere noto all’Italia e alla Comunità internazionale la fine del sistema radar di controllo dei confini a Sud della Libia, in parte già fornito nel 2010 dall’allora Finmeccanica. Chiarire dove sono le casse, a quanto pare già consegnate da Selex, dei sistemi radar di questa preziosa rete che sarebbe costata all’Italia 150 milioni di euro. Gli altri 150 milioni di euro non risultano essere mai stati pagati perché a carico dell’Unione Europea. Finanziamenti interrotti per sopraggiunti imprevisti (primavera araba fortemente voluta dall’amministrazione Obama e dai francesi).
Inoltre, il 25 luglio scorso leggo sul sito CongedatiFolgore.com l’articolo intitolato “Invasione dei neri clandestini: la Francia in Niger potrebbe fermarli ma si volta dall’altra parte” dove in pratica si dice che i francesi abbiano costruito una fornita base militare dalle parti di Seguedine (ultimo avamposto prima di entrare in Libia) e dove gli stessi militari francesi si guardano bene dal fermare o in qualche modo ostacolare i trafficanti di esseri umani e quant’altro. Nel solo 2016 si stima siano stati circa 300000 i migranti entrati in Libia e diretti verso nord – verso i punti d’imbarco per l’Italia – sotto gli occhi dei legionari francesi che sicuramente non potevano non sapere cosa trasportassero (e tuttora trasportino) le colonne di automezzi che sfilano sotto i loro occhi e sotto la sorveglianza dei loro mezzi aerei e terrestri manned e unmanned schierati in quell’area.
Eppure i transiti sono avvenuti con grossi camion pieni di gente e masserizie. Proprio orbi i francesi, eh?
Il Gen. Haftar (e non solo) può spiegarci il perché di questi comportamenti a dir poco contraddittori perché, se le cose stanno così e non credo proprio diversamente, come cittadino di uno stato che sta sopportando ciò che tutti sappiamo, che i libici dichiarano di considerare amico e la Francia risulta esserne partner e alleata, vorrei capire bene a che gioco state giocando.
Il Gen Haftar oggi è tutt’uno con i francesi, gli stessi francesi che nel 1986 aiutarono i ciadiani a sconfiggerlo; una sconfitta che gli costò la destituzione da parte di Gheddafi e un difficile esilio.
Come si spiega oggi questo idillio? Il Generale, un uomo della sua posizione, non può che nutrire un qualche risentimento per quanto accadutogli in passato, ma l’Italia che c’entra? Forse a suo tempo sperava nella comprensione italiana peraltro mai dimostrata ? E’ questo il motivo per cui gli siamo un po’ indigesti ed ha virato completamente verso i francesi appellando Al Serraj fanfarone della politica? Oppure c’è dell’altro?
Risposte che probabilmente non avremo mai. Domande che tuttavia dovrebbero farsi chi oggi gestisce la politica estera del nostro Paese.
di Maugia