Ci sono volute oltre dieci udienze e cinque anni di processo per chiarire le responsabilità per l’incidente aereo che il 28 ottobre2017 aveva -per alcune ore- diviso in due l’Italia.
Quel giorno un aereo da turismo dell’Aeroclub di Roma, appena decollato dall’aeroporto dell’Urbe era infatti caduto sui binari dell’alta velocità nella tratta Roma-Firenze all’altezza di via Salaria 746 creando dapprima il blocco e gravissimi ritardi sulla principale linea di collegamento ferroviario del Paese.
Due persone a bordo del velivolo (un Tecnam P92 marche I-CORT) avevano riportato gravi lesioni, ma l’incidente avrebbe potuto causare una strage.
Immediatamente dopo la caduta dell’aeromobile sono iniziate tanto le indagini della Procura della Repubblica di Roma (coordinate dal dott. Pietro Pollidori), quanto l’inchiesta dell’Agenzia Nazionale della Sicurezza del Volo (ANSV).
All’esito delle indagini -nel corso delle quali era stato comunque accertato che l’aeromobile aveva subito un improvviso calo di potenza proprio al decollo obbligando il pilota ad una difficilissima manovra di emergenza -il Pubblico Ministero aveva chiesto il rinvio a giudizio del pilota, Gianfranco Requedaz per rispondere dell’accusa di disastro aviatorio.
Il pilota era così stato rinviato a giudizio dinanzi al collegio della VIII Sezione Penale del Tribunale di Roma.
Durante il processo il pilota -assistito dagli avvocati Guido Simonetti e Simone Zancani di Venezia, specializzati nella difesa nei sinistri aeronautici – si è difeso dimostrando con i propri consulenti (tra cui un pilota ex comandante delle Frecce Tricolori) che la caduta dell’aeromobile non era dovuta ad un errore di pilotaggio, ma ad una grave avaria meccanica dell’aeromobile che il pilota aveva appena noleggiato dall’Aeroclub di Roma.
La formula con cui il Tribunale ieri ha assolto il pilota -“per non aver commesso il fatto”-ha confermato la correttezza delle manovre eseguite dal pilota a seguito del malfunzionamento del motore del velivolo.