(di Massimiliano D’Elia) Turchia e Qatar oggi sono diventati i referenti del mondo occidentale in Afghanistan, la loro rete diplomatica e di intelligence sta crescendo di giorno in giorno all’interno del Paese. Obiettivo principale: contrastare, per quanto possibile, la concorrenza di Cina e Russia, gli unici paesi, insieme al Pakistan, che hanno tenuto aperte le loro ambasciate a Kabul.
Ci sono altri tre paesi, con legami storicamente molto stretti con i talebani, il Pakistan, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, che giocano un ruolo non affatto secondario nel controverso contesto afghano molto “liquido” e facilmente infiammabile.
Il collante tra tutti questi Paesi sono i talebani che, messi al centro del progetto dagli americani, tessono le fila di una tela molto complicata e fragilissima.
I nuovi capi talebani, ospitati per anni in Qatar, a parole, vogliono dialogare con il mondo occidentale, vogliono costruire da zero il nascente Emirato islamico con l’aiuto di potenze straniere per estrarre circa 3mila miliardi di risorse dal proprio territorio. Ma cercano, soprattutto, il riconoscimento della Comunità internazionale.
La storia ci ricorda anche che gli unici paesi che hanno riconosciuto i talebani negli anni anni ‘90, quando erano al potere, sono stati Pakistan, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Rapporti interrotti dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, ma mantenuti in gran segreto con i più anziani leader talebani.
Oggi è diverso, i giovani capi talebani vedono il Qatar e la Turchia come un agevole passepartout per dialogare con l’occidente. Non è un caso, infatti, che i talebani abbiano affidato il ripristino dell’aeroporto internazionale di Kabul a tecnici turchi e qatarioti, gli unici autorizzati. I paesi occidentali che, invece, hanno perso uomini sul terreno (l’Italia 54), sono mantenuti sapientemente al margine del programma di costituzione dell’Emirato.
Il Qatar, invece, gode della fiducia dei talebani perchè ha garantito loro protezione e canali privilegiati con gli occidentali infittendo un’importante rete di relazioni diplomatiche con gli americani. A Doha, infatti, i rappresentanti americani e talebani hanno negoziato i termini dell’accordo del febbraio 2020. Nel mese di agosto scorso i qatarini hanno utilizzato i loro legami con i talebani per assistere numerose nazioni occidentali, compresi gli Stati Uniti, nell’evacuare i propri cittadini dall’Afghanistan.
I legami della Turchia con l’Afghanistan sono sia storici che simbolici. Le tribù turche di lingua persiana sono tantissime e vivono in tutto il paese dell’Asia centrale. Inoltre, la leadership talebana vede la Turchia come l’erede dell’Impero ottomano che cerca di riproporre il califfato islamico in questo secolo. Inoltre la Turchia è anche alleata diplomaticamente con il Pakistan, che è il più stretto alleato internazionale dei talebani. Inoltre, le truppe turche presidiano l’aeroporto di Kabul da oltre sei anni, e sono ancora oggi presenti nella capitale afghana. Nelle ultime settimane, mentre i diplomatici occidentali abbandonavano freneticamente Kabul, funzionari turchi sono rimasti nella capitale per incontrare i leader talebani e progettare il futuro.
In definitiva il Qatar e la Turchia (che fa parte della Nato) sono gli unici paesi in grado di offrire ai talebani qualcosa che Cina, Russia e Pakistan non possono: una sicura linea di comunicazione con gli Stati Uniti e i loro alleati e perchè no, un probabile futuro riconoscimento da parte della Comunità internazionale.
Afghanistan e le sue ricchezze minerarie già nel mirino di Cina e Russia
L’Afghanistan possiede enormi e non meglio precisate ricchezze minerarie: petrolio, ferro, oro e gemme preziose, depositi di rame, litio e terre rare. Un controvalore, scrive il Sole24Ore, stimato dagli americani pari a tremila miliardi di dollari.
Il ritiro degli Usa dal Paese, seguito da quello degli alleati della coalizione, è un’occasione ghiotta per chi in quell’area ha interessi di carattere strategico e non solo. Cina e Russia sono già in partita, sono gli unici che hanno lasciato le ambasciate aperte ed operative con il benestare dei nuovi governanti, i talebani. L’Afghanistan rientra nella “Via della Seta” cinese ma è anche un’ottima opportunità per gli interessi russi nel campo degli idrocarburi.
Poi c’è la questione del progetto TAPI. Il 6 febbraio 2020, pochi giorni prima della storica firma dell’accordo di Doha tra americani e talebani (29 febbraio 2020), il ministro degli Esteri del Turkmenistan, Rashid Meredov, ha incontrato gli alti rappresentanti del Ministero degli Esteri turkmeno e una delegazione dell’ufficio politico del movimento talebano guidato dal mullah Abdul Ghani Baradar. Il motivo dell’incontro era la questione della sicurezza in Afghanistan, risolta oggi con la presa del Paese da parte dei talebani. Il Turkmenistan è infatti intenzionato a portare avanti il progetto TAPI, ovvero un gasdotto che dovrebbe attraversare Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan e India, sviluppato dalla Galkynysh – TAPI Pipeline Company Limited con la partecipazione della Banca di Sviluppo Asiatico (ADB) e con l’appoggio incondizionato di Washington.
La Cina è già avanti rispetto a tutti gli altri perché ha già in mano importanti licenze di estrazione. Quello più contestato (per inquinamenti dovuti a presunte corruzioni) è il Mes Aynak,(tradotto: piccola sorgente di rame) che permetterà alla Cina per trent’anni di poter estrarre dal più grande giacimento al mondo di rame, stimato dall’ex governo afgano in 11,3 milioni di tonnellate di metallo. Ad aggiudicarsi la gare per tre miliardi di dollari, nel lontano 2007, le cinesi China Metallurgical Group (Mec) e Jiangxi Copper.
Il faraonico progetto cinese prevede anche una centrale elettrica a carbone, una rete idrica e una ferrovia verso il Pakistan e l’Uzbekistan, nella zona dove vi è un’area archeologica sede di antichi monasteri buddisti. Da quelle parti insiste anche un importante sito minerario, lo Hajigak, un deposito che racchiude circa 2 milioni di tonnellate di ferro, che si estende per oltre 32 chilometri sulle montagne. Poi in quella zona esiste anche un giacimento di niobio, metallo raro e prezioso utilizzato, scrive sempre il Sole24Ore, per le applicazioni nel settore della difesa.
La Cina poi è titolare della licenza petrolifera assegnata nel 2011 per una durata di 23 anni, alla China National Petroleum Corporation (Cnpc), relativa a tre campi lungo il fiume Amu Darya. Il petrolio non manca, infatti nel Nord del Paese, sono stati scoperti 1,8 miliardi di barili di petrolio e gas.
In tutto questo controvalore commerciale i paesi Nato che hanno combattuto per vent’anni, Italia compresa, risultano non pervenuti, pur avendo lasciato sul terreno oltre 3000 morti (Italia 54). Trattare oggi con i talebani su nuovi contratti appare davvero difficile, visto che ci hanno dipinti sapientemente come traditori del popolo afghano.