(di Andrea Pinto) E’ di poche ore fa la notizia, almeno cinque razzi sono stati lanciati contro l’aeroporto di Kabul ma sono stati intercettati dal sistema anti-missili americano. Al momento non sembrano esserci vittime. Lo riporta Fox citando fonti della difesa americana. Secondo indiscrezioni, riportate da altri media, citando testimoni, i razzi sarebbero stati lanciati da un’auto.
Ieri il terzo raid Usa con l’utilizzo di droni, questa volta contro un’auto guidata da un kamikaze. La Cnn riporta che nel blitz sono stati uccisi 9 civili, tra cui 6 bambini. La risposta di Washington: “Stiamo valutando l’esito dell’operazione. Saremmo rammaricati se ci fossero vittime innocenti”. Il portavoce dei talebani fa sapere che vi è un’indagine in corso per stabilire l’entità dei danni collaterali. Il capo del Dipartimento di Stato Usa Blinken ha annunciato per oggi una riunione da remoto con i partner chiave, ci sarà anche l’Italia.
Nel frattempo, scrive il New York Times, la CIA – Central Intelligence Agency – starebbe pensando di rafforzare e rilanciare la sua azione antiterrorismo in Afghanistan. Se ne parla in un approfondito articolo pubblicato venerdì scorso sul New York Times da Julian Barnes, Adam Goldman e Mark Mazzetti (autore di The Way of the Knife: The CIA, a Secret Army, and a War at the Ends of the Earth).
I tre giornalisti, citando anonimi “funzionari attuali ed ex dell’Agenzia”, affermano che la spirale di instabilità dell’Afghanistan “potrebbe riportare la CIA ad intraprendere una complessa missione antiterrorismo”. Ciò avviene mentre i funzionari americani stanno “rielaborando i piani per contrastare le minacce che potrebbero emergere dal caos in Afghanistan”. La loro paura è che l’Afghanistan possa diventare come la Siria nel 2010 e l’Afghanistan negli anni ’90, un polo di attrazione per i militanti di ogni estrazione e provenienza. Anche se i talebani, secondo gli accordi di Doha, si sono impegnati a combattere il terrorismo (Isis e al Qaeda) la CIA non si fida sulle loro capacità, ma soprattutto sulla loro reale volontà.
Ricostruire subito la rete humint in Afghanistan. La CIA in Afghanistan ha perso, nel corso degli anni, il suo vasto sistema di stazioni e avamposti e le sue reti di agenti all’interno del paese. Non si sa neanche dove farli lavorare fisicamente visto che non ci sono più ambasciate e consolati occidentali. Sono rimaste attive solo le addettanze di Cina, Russia, Pakistan e Iran, luoghi dove forse è meglio non metterci piede. L’agenzia di intelligence Usa dovrà quindi negoziare con i paesi vicini per creare strutture che le consentano di gestire agenti e operazioni all’interno dell’Afghanistan. Ciò, però non sarà facile, data l’influenza di Pakistan, Russia e Cina nella regione.
L’articolo del NYT cita anche una serie di “alti funzionari statunitensi” che sostengono il contrario, ovvero, che le priorità della CIA non cambieranno dopo quanto accaduto nelle ultime settimane in Afghanistan pur ammettendo che potrebbe esserci più urgenza sull’antiterrorismo dopo la vittoria dei talebani. Tuttavia evidenziano che le agenzie di intelligence statunitensi sono perfettamente in grado di gestire “più priorità contemporaneamente”. Ma l’articolo cita anche Don Hepburn, che ha prestato servizio sia nella CIA che nell’FBI – Federal Bureau of Investigation“, il quale afferma che concentrarsi su attori statali e non statali con la stessa intensità non è semplice come sembra.
Le considerazioni fatte dagli esperti sono tutte valide, certo è che per scongiurare il germogliare di diverse frange di terroristi occorrono uomini sul campo ed in assenza di eserciti regolari non è escluso l’invio di contractor supportati da una fitta e capillare rete di 007 sul terreno, rivalutando, pertanto, le operazioni “humint“. Ci vorrà sempre qualcuno che indichi al drone dove colpire con esattezza per evitare vittime tra i civili innocenti. Nella riunione con gli alleati di oggi gli Usa potrebbero chiedere aiuto anche agli alleati in tal senso. Vedremo.