Afghanistan: l’Isis-k arruola ex militari forze speciali e agenti addestrati dagli americani

(di Massimiliano D’Elia) Come si prevedeva l’Afghanistan è uscito dai riflettori dei media internazionali. I talebani, nonostante le promesse degli accordi di Doha, continuano con la loro legge, decisamente austera e contro ogni forma di occidentalizzazione del neonato Emirato Islamico e della società. Di fronte ad una economia inesistente e con poche prospettive non si scorge alcuna possibilità per la popolazione di poter fare qualche passo in avanti per migliorare le proprie condizioni di vita.

Dopo il frettoloso dispiegamento Usa dall’Afghanistan, l’Unione Europea vorrebbe impegnarsi come “blocco lead” nella regione per scongiurare un esodo senza precedenti di rifugiati (Erdogan al G20 ha detto che non accoglierà rifugiati afghani). Purtroppo, però, le idee a Bruxelles sono poco chiare e contrastanti l’una con l’altra a fronte degli interessi, in quel territorio, di attori del calibro di Cina, Russia ed India. Ad aiutare la inconsistente politica estera comunitaria un considerazione non secondaria: non abbiamo ancora un esercito europeo, al netto di qualche dichiarazione d’intenti sulla Difesa europea comune e su un mini esercito di 5000 unità.

Oggi gli unici ad opporsi al regime talebano sono stati, nel nord del Paese, un piccolo gruppo di combattenti sotto la guida di Ahmad Massoud, figlio del comandante antisovietico e antitalebano Ahmad Shah Massoud. Sono stati, però, sconfitti dai talebani in una guerra lampo, grazie all’aiuto dell’intelligence e i droni del Pakistan. Da allora la maggior parte di loro è fuggita dal paese, ovvero si è unita al gruppo terroristico noto come Isis-K (dalla provincia Siria-Khorasan). E’ difficile dirlo, ma forse una flebile speranza per destabilizzare l’Emirato dell’ Afghanistan potrebbe nascere proprio dall’Isis-K. Anche se il risultato non cambierebbe affatto il destino del Paese, sostituendo un regime con un’altro.

L’Isis-K si starebbe, infatti, riorganizzando, a confermarlo un nuovo rapporto d’intelligence Usa secondo cui alcuni membri ben addestrati dagli americani delle forze speciali d’élite e delle agenzie di intelligence afghane si stanno unendo allo Stato Islamico per combattere i talebani. Un allarme per gli osservatori occidentali perché queste nuove reclute forniranno allo Stato Islamico in Afghanistan nuove capacità e competenze avanzate che potrebbero rendere il gruppo difficile da sconfiggere nei prossimi mesi o addirittura anni.


Molti afghani, la maggior parte membri dell’esercito e delle forze di sicurezza, non sono tornati al lavoro dopo la presa del potere da parte dei talebani, temendo di essere uccisi. Secondo il Wall Street Journal, un numero “relativamente piccolo, ma in crescita” di ex membri delle agenzie di sicurezza e di intelligence afghane, ora si unisce all’ISIS-K: sono stati addestrati alla guerra non convenzionale e alla raccolta di informazioni dagli Stati Uniti”, afferma il WSJ. Il rapporto relaziona anche sulle motivazioni di questo arruolamento: coloro che si uniscono all’ISIS-K vogliono assicurarsi un reddito regolare e combattere i talebani perché certi di essere nelle loro liste dei disertori e quindi condannati a morte.

Afghanistan e le sue ricchezze minerarie già nel mirino di Cina e Russia

L’Afghanistan possiede enormi e non meglio precisate ricchezze minerarie: petrolio, ferro, oro e gemme preziose, depositi di rame, litio e terre rare. Un controvalore stimato dagli americani pari a tremila miliardi di dollari. 

Il ritiro degli Usa dal Paese, seguito da quello degli alleati della coalizione, è un’occasione ghiotta per chi in quell’area ha interessi di carattere strategico e non solo. Cina Russia sono già in partita, sono gli unici che hanno lasciato le ambasciate aperte ed operative con il benestare dei nuovi governanti, i talebani. L’Afghanistan rientra nella “Via della Seta” cinese ma è anche un’ottima opportunità per gli interessi russi nel campo degli idrocarburi.

Poi c’è la questione del progetto TAPI. Il 6 febbraio 2020, pochi giorni prima della storica firma dell’accordo di Doha tra americani e talebani (29 febbraio 2020), il ministro degli Esteri del Turkmenistan, Rashid Meredov, ha incontrato gli alti rappresentanti del Ministero degli Esteri turkmeno e una delegazione dell’ufficio politico del movimento talebano guidato dal mullah Abdul Ghani Baradar. Il motivo dell’incontro era la questione della sicurezza in Afghanistan, risolta oggi con la presa del Paese da parte dei talebani. Il Turkmenistan è infatti intenzionato a portare avanti il progetto TAPI, ovvero un gasdotto che dovrebbe attraversare Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan e India, sviluppato dalla Galkynysh – TAPI Pipeline Company Limited con la partecipazione della Banca di Sviluppo Asiatico (ADB) e con l’appoggio incondizionato di Washington.

La Cina è già avanti rispetto a tutti gli altri perché ha già in mano importanti licenze di estrazione. Quello più contestato (per inquinamenti dovuti a presunte corruzioni) è il  Mes Aynak,(tradotto: piccola sorgente di rame) che permetterà alla Cina per trent’anni di poter estrarre dal più grande giacimento al mondo di rame, stimato dall’ex governo afgano in 11,3 milioni di tonnellate di metallo. Ad aggiudicarsi la gare per tre miliardi di dollari, nel lontano 2007, le cinesi China Metallurgical Group (Mec) e Jiangxi Copper. 

Il faraonico progetto cinese prevede anche una centrale elettrica a carbone, una rete idrica e una ferrovia verso il Pakistan e l’Uzbekistan, nella zona dove vi è un’area archeologica sede di antichi monasteri buddisti. Da quelle parti insiste anche un importante sito minerario, lo Hajigak, un deposito che racchiude circa 2 milioni di tonnellate di ferro, che si estende per oltre 32 chilometri sulle montagne. Poi in quella zona esiste anche un giacimento di niobio, metallo raro e prezioso utilizzato, scrive sempre il Sole24Ore, per le applicazioni nel settore della difesa.

La Cina poi è titolare della licenza petrolifera assegnata nel 2011 per una durata di 23 anni, alla China National Petroleum Corporation (Cnpc), relativa a tre campi lungo il fiume Amu Darya. Il petrolio non manca, infatti nel  Nord del  Paese, sono stati scoperti 1,8 miliardi di barili di petrolio e gas. 

In tutto questo controvalore commerciale i paesi Nato che hanno combattuto per vent’anni, Italia compresa, risultano non pervenuti, pur avendo lasciato sul terreno oltre 3000 morti (Italia 54). Trattare oggi con i talebani su nuovi contratti appare davvero difficile, visto che ci hanno dipinti sapientemente come traditori del popolo afghano.

Afghanistan: l’Isis-k arruola ex militari forze speciali e agenti addestrati dagli americani

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