(di Massimiliano D’Elia) “L’obiettivo della missione non era costruire una nazione, ma contrastare il terrorismo. Non potevamo e non dovevamo combattere una guerra che nemmeno l’esercito afghano ha voluto combattere“, così Joe Biden ha sintetizzato ieri sera alla Nazione la debacle della sua Amministrazione e dell’intelligence che non ha saputo prevedere quello che un analista di media esperienza riesce a leggere con pochi dati in possesso. E’ vero quello che dice Biden, eravamo li per contrastare il terrorismo, peccato che gli Alleati hanno seguito per vent’anni gli Usa, senza mai batter ciglio, in un pantano che ha portato via vite umane (53 italiani) e trilioni di dollari con il paradigma “siamo lì a combattere i terroristi per garantire la sicurezza in casa nostra”.
Ci siamo illusi, con i nostri progetti umanitari, di poter cambiare la storia millenaria di un popolo che non ha ancora chiaro il concetto di Nazione, di Governo, di Istituzioni. Nei grossi centri urbani, dove avevamo le nostre basi, qualcosa stava cambiando ma era solo un granello di sabbia in un deserto, l’Afghanistan, costituito da una estesa e frastagliata struttura tribale, etnica e religiosa, dove il suo popolo non riconosce i riferimenti statuali. In un contesto sociale così proibitivo, per far germogliare/esportare la democrazia, gli unici che riescono probabilmente ad attecchire con il loro singolare collante ideologico e motivazionale sono i talebani, che piaccia o no, sono loro che vengono osannati e rispettati, visti come gli unici in grado di gestire l’ordine costituito, anche tagliando le gole agli oppositori o a chi contravviene alle rigide leggi religiose.
Ecco perchè la loro avanzata verso Kabul è stata agevole e per certi versi trionfale: hanno liberato il Paese dagli invasori occidentali, che volevano imporre il loro modo di vivere e dagli attuali governanti corrotti che da mesi non pagavano più neanche gli stipendi. Come si pretendeva che l’esercito afghano, ben addestrato ed equipaggiato dagli occidentali, combattesse senza paga e soprattutto contro coloro con cui gli americani a Doha avevano stretto un accordo?
In tutti questi anni i talebani, arroccati al confine con il Pakistan, si sono riorganizzati, hanno sviluppato una rilevante capacità strategica, hanno continuato a ricevere finanziamenti equipaggiamenti ed armi ed hanno riconquistato, senza colpo ferire, il 40 per cento del Paese, con il tacito avallo degli americani. Oggi celebrano il ventennale dell’attacco alle Torri Gemelle (11 settembre 2001) controllando tutto il Paese con la proclamazione dell’Emirato islamico dell’Afghanistan.
La nascita dell’Emirato islamico dell’Afghanistan non è un aspetto da sottovalutare, è probabilmente la nascita dello Stato che i terroristi di tutto il mondo volevano e che non erano riusciti a costituire tra Siria e Iraq (ISIS). Si, perchè tra le montagne dell’Afghanistan ci sono i fuggiaschi dell’Isis e di Al Qaeda, che, secondo gli accordi di Doha, i talebani dovrebbero combattere. Un dato però dovrebbe far riflettere, tutti gli addetti ai lavori: Al Qaeda è presente già in 15 province. L’intelligence, infatti, teme una nuova ondata di foreign fighters, confermata da un recente rapporto delle Nazioni Unite del 21 luglio scorso: “La sicurezza in Afghanistan rimane fragile, il processo di pace è incerto. Al Qaeda è presente in almeno 15 province, principalmente nelle zone est, sud e sud-est”. Secondo il rapporto alcune cellule dormienti dell’Isis, in competizione con Al Qaeda, continuano a operare attorno a Kabul e nelle province del Nuristan, Badakhstan e Kunduz.
L’Isis e Al Qaeda hanno però un comune filo conduttore: vogliono riunire tutti coloro che rigettano l’Accordo di Pacificazione fra gli Stati Uniti e i talebani.
Se i talebani rispettano l’accordo di Doha potrebbero però ricevere anche il sostegno di Russia e Cina che intravedono nell’Afghanistan un importante snodo strategico per le loro attività (pipeline gas russo e via della Seta cinese). Se tutto dovesse prendere un verso diverso, invece, l’Afghanistan potrebbe diventare il polo di attrazione del fondamentalismo mondiale, così come lo è stata la Siria per lo Stato Islamico fino a poco tempo fa, accogliendo così combattenti dall’Africa, dal Medio Oriente e anche dall’Europa che andrebbero li per addestrarsi ed esportare a casa le competenze per compiere attentati terroristici. Non è secondario poi che a congratularsi con i telebani anche Hamas, che lo ha fatto pubblicamente tramite i suoi canali social.
Poi c’è il problema dei profughi. 2,9 milioni di afghani sono stati già sfollati dal Paese alla fine del 2020 e circa 250mila afghani sono stati costretti a fuggire dalla fine di maggio a oggi (dato UNHCR-ONU).