(di Massimiliano D’Elia) Dopo l’attacco di questa notte alle basi americane in Iraq, dove sono presenti anche nostri militari, abbiamo sentito al telefono l’ammiraglio di divisione della riserva, Nicola De Felice, esperto di politica militare e internazionale che tra i suoi numerosi incarichi in enti di vertice della Difesa vi è stato anche il Comando Marittimo Sicilia, dove in qualità di comandante ha gestito in prima persona tutte le emergenze avvenute nella parte del Mediterraneo che direttamente interessa l’Italia.
Ammiraglio, dopo gli attacchi iraniani di questa notte, cosa dovrebbe fare l’Italia?
“In Iraq ora non possiamo fare altro che rispettare i patti con gli alleati, seguendo le sorti programmatiche di breve periodo della coalizione. Nel frattempo, delineare un’uscita a medio termine concordata con gli alleati, in maniera progressiva e definitiva. Parallelamente, premere sugli USA per un maggiore appoggio alle iniziative italiane in Libia”.
Quindi dovremmo fare di più in Libia? Come?
“Il Governo non “pianga sul latte versato”, ma si dia da fare per tentare di recuperare la situazione e perlomeno garantire la sicurezza dei nostri soldati in terra libica. Definisca (se non già fatto – Sic!) gli obiettivi geopolitici il più possibile vantaggiosi e utili al fine di tutelare o incrementare gli interessi nazionali dell’area, quindi avvii e coordini, sotto la responsabilità diretta del Presidente del Consiglio – non delegabile al Ministro degli Affari Esteri – una strategia operativa cosiddetta “diretta”, cioè che metta in campo non solo lo strumento diplomatico, ma in maniera sinergica anche gli altri strumenti del potere nazionale (il militare, l’economico, l’intelligence) verso tutti gli attori coinvolti, dagli alleati (in primis USA, Francia e Turchia, facenti parte della NATO), quindi verso il paesi del nord Africa e arabi, ponendo indiscutibili “paletti” nella cooperazione militare e commerciale, a seconda dei casi, con il fine sempre di raggiungere gli obiettivi strategici definiti a monte.
Ricordo, per fare un esempio, che una nave militare con capacità di supporto di fuoco a terra, può tranquillamente stazionare in acque internazionali a 12 miglia dalla costa dello Stato su cui fare pressione senza dover scomodare alcuna richiesta giuridica. Si chiama “naval diplomacy”.
Ammiraglio, il nostro ministro degli Esteri, parla dell’art. 11 della Costituzione, il ripudio della guerra, per delineare la sua idea di politica estera, cosa ne pensa?
“Sulla base delle dichiarazioni del Ministro agli Affari Esteri On. Di Maio che si è basato sull’art 11 della Costituzione (ripudio della guerra) come riferimento alla sua strategia di politica estera attuale, ritengo sia necessario ricordare l’altrettanto importante l’art. 52: “ La difesa della patria è sacro dovere del cittadino”.
I nostri padri costituzionali, proclamando che la difesa della patria è sacro dovere del cittadino, hanno fatto un’affermazione di altissimo significato morale e giuridico. Essa comporta per tutti i cittadini, senza esclusioni, la difesa della patria che è la condizione prima della conservazione della comunità. La difesa della patria rappresenta un dovere collocato al di sopra di tutti gli altri, e che nessuna legge potrebbe fare venire meno. Si tratta di un dovere che si collega proprio perché sacro intimamente è indissolubilmente all’appartenenza alla comunità nazionale identificata nella Repubblica Italiana. Così inteso esso trascende e supera lo stesso dovere del servizio militare ( Corte Costituzionale 24.4.1967, n. 53).
Questo dovere non deve essere inteso limitato alla Difesa armata, ma come obbligo morale generale, perciò di tutti i cittadini, indipendentemente dal sesso, dall’età, dall’attitudine o meno alle armi, di tutelare con ogni mezzo e con ogni forma i diritti e gli interessi nazionali della Nazione”.
“ Un’ autorità politica di vertice” è investito quindi di particolari RESPONSABILITÀ’ e doveri addizionali inerenti la funzione sicurezza dello Stato e quindi della collettività nazionale “.