Le agenzie di intelligence rumene avrebbero rilevato una sofisticata campagna di disinformazione avviata su TikTok, coordinata tramite un gruppo Telegram e attribuita a «attori non statali» con legami riconducibili alla Russia. Secondo i dettagli trapelati, la campagna sarebbe iniziata circa due settimane prima del voto e sarebbe stata gestita da una società di marketing digitale altamente efficace. Il sistema adottato per influenzare l’elettorato si sarebbe basato sul reclutamento di influencer, estremisti e account di gruppi legati alla criminalità organizzata
di Francesco Matera
La Romania è piombata nuovamente nel caos politico ed elettorale dopo una decisione senza precedenti da parte della Corte costituzionale. Con un pronunciamento che ha scosso il panorama politico del Paese, la Corte ha annullato il risultato del primo turno delle elezioni presidenziali, svoltosi lo scorso 24 novembre, e ha cancellato il ballottaggio in programma per domenica 8 dicembre. Alla base della decisione ci sarebbero presunte interferenze straniere, in particolare attribuite alla Russia, rivelate dalla desecretazione di alcuni documenti riservati delle agenzie di intelligence. La decisione della Corte arriva inaspettatamente, pochi giorni dopo aver invece dichiarato la regolarità del conteggio elettorale, spianando la strada al secondo turno di votazioni.
Il presidente romeno Klaus Iohannis, da anni figura centrale e pro-Ue del panorama politico, è intervenuto in serata per cercare di rassicurare il Paese. In un discorso trasmesso in diretta, ha dichiarato che rimarrà in carica fino a quando non verrà eletto un nuovo presidente, sottolineando l’importanza di garantire continuità istituzionale in un momento di profonda incertezza. Ha inoltre evidenziato come il nuovo governo, che emergerà dalle elezioni legislative dello scorso fine settimana, avrà il compito di stabilire una nuova data per le elezioni presidenziali.
Il comunicato ufficiale della Corte costituzionale ha stabilito l’annullamento completo dell’intero processo elettorale, specificando che tale misura è necessaria per «garantire la validità e la legalità del voto». Questo significa che non solo il ballottaggio previsto per l’8 dicembre è stato cancellato, ma che l’intero iter elettorale dovrà ripartire dall’inizio. La decisione ha immediatamente scatenato reazioni contrastanti tra i protagonisti politici.
Al primo turno delle elezioni presidenziali, il candidato nazionalista e filorusso Calin Georgescu aveva ottenuto il maggior numero di voti, superando la candidata di centrodestra Elena Lasconi, la quale si sarebbe dovuta confrontare con lui al ballottaggio. Il grande sconfitto del primo turno, il premier socialdemocratico Marcel Ciolacu, arrivato terzo, ha accolto con favore la decisione della Corte. «Annullare l’intero processo elettorale è l’unica soluzione positiva dopo la declassificazione dei documenti di intelligence su interferenze straniere nel voto», ha dichiarato Ciolacu, lasciando intendere che un’elezione viziata da ingerenze non avrebbe potuto essere considerata legittima.
La reazione opposta è arrivata dal partito “Alleanza per l’Unione dei rumeni”, il cui leader George Simion, alleato di Georgescu, ha definito la decisione della Corte come «un golpe», accusando le istituzioni di aver calpestato la volontà popolare. Anche Elena Lasconi, la candidata di centrodestra, ha espresso parole dure, definendo l’annullamento delle elezioni come un «momento in cui lo stato ha calpestato la democrazia». Le sue parole riflettono la frustrazione di una parte dell’elettorato, che percepisce la decisione come un’interferenza indebita delle istituzioni nei processi democratici del Paese.
La crisi politica in Romania non riguarda solo le dinamiche interne, ma ha implicazioni che travalicano i confini nazionali, toccando direttamente la questione delle presunte interferenze russe. Le agenzie di intelligence rumene avrebbero rilevato una sofisticata campagna di disinformazione avviata su TikTok, coordinata tramite un gruppo Telegram e attribuita a «attori non statali» con legami riconducibili alla Russia. Secondo i dettagli trapelati, la campagna sarebbe iniziata circa due settimane prima del voto e sarebbe stata gestita da una società di marketing digitale altamente efficace. Il sistema adottato per influenzare l’elettorato si sarebbe basato sul reclutamento di influencer, estremisti e account di gruppi legati alla criminalità organizzata.
Gli influencer coinvolti avrebbero ricevuto 80 euro per ogni post pubblicato, con un minimo garantito di 20mila follower per post. I contenuti non venivano etichettati come materiale politico, ma rientravano nella categoria “intrattenimento” di TikTok, aggirando così le politiche della piattaforma sui contenuti elettorali. La rete individuata contava circa 25mila account, 800 dei quali attivi fin dal 2016, anno della fondazione stessa della piattaforma. Questo vasto sistema di manipolazione digitale avrebbe promosso l’immagine di un “candidato ideale”, favorendo Calin Georgescu e amplificando i suoi messaggi attraverso una propaganda virale e mirata.
La situazione è ulteriormente complicata dal contesto politico più ampio. La Romania è un Paese membro della NATO e un partner strategico dell’Unione Europea, posizionato in un’area geopolitica di forte tensione. La possibilità che interferenze straniere, in particolare russe, abbiano avuto un ruolo attivo nelle elezioni solleva interrogativi inquietanti sulla stabilità democratica del Paese e sulla capacità delle sue istituzioni di proteggere il processo elettorale.
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