(di Antonio Deganutti) Vi sono due elementi importanti da valutare per gli sviluppi futuri dei rapporti dei Sauditi con l’Italia: il clamore mediatico per i contratti di fornitura di armamento autorizzati all’Arabia Saudita a mente della legge 185 e le recenti visite pianificate dal Crown Prince Mohammed bin Salman in occidente ma non in Italia.
Sotto il profilo storico, il rapporto tra Italia e Arabia Saudita si perde nella notte dei tempi, nel periodo dove l’Italia era il faro della Civiltà e la Romanità si diffondeva non solo in Europa ma in parte del continente Euroasiatico.
Ciò è testimoniato dal ritrovamento di alcune monete romane nella zona nord della penisola Arabica (Al Jawf), da alcuni mercanti italiani interessati a percorrere la via della seta.
Questa linea direttiva di scambi est/ovest intersecava la ‘’via del pellegrinaggio’’ che congiungeva Damasco alla città Santa della Mecca.
Fu proprio un italiano, tal Ludovico De Varthema ad essere il primo occidentale a percorrere questa via e giungere sano e salvo alla Mecca (1503).
I rapporti tra i due paesi furono stabiliti a partire dal 1932, data di unificazione del Hijaz e sultanato del Najd, con il riconoscimento da parte dell’Italia del regno, nomenclatura subito trasformata in regno di “al-Mamlakat al-ʿarabiyya al-saʿūdiyya’’(regno dell’Arabia Saudita).
Nel periodo 1934 e 1935 si conclusero interessanti accordi commerciali tra l’Italia e l’Arabia Saudita che videro la fornitura da parte italiana di armi, in particolare di aerei Caproni, ricambiati da imponenti forniture di petrolio. È rimasta storica la Visita del Re Al Saud all’Italia e all’Aeronautica Militare nel 1935: la documentazione fotografica del tempo oggi, è esposta con raffinatezza presso l’ambasciata Saudita a Roma.
La parentesi del secondo conflitto mondiale che vide la neutralità del paese arabo e la sospensione dei rapporti diplomatici con l’Italia, si concluse con la riapertura di quest’ultimi a partire dal 1946 data che segnò l’inizio di un florido periodo di interscambio postbellico.
Gli anni ‘50 videro il moltiplicarsi dei nostri lavoratori con l’ARAMCO, la compagnia nazionale saudita degli idrocarburi.
Nel 1957, Mattei sottoscrivendo un contratto di concessione in Iran basata sulla formula 75% -25%, sconvolse il mondo petrolifero e i concessionari in Arabia Saudita, parte delle sette sorelle, furono obbligati a rivedere le formule di concessione fino allora basate sul 50% – 50%.
Furono, però, gli anni ‘70 che diedero una svolta alle relazioni tra i due paesi grazie alla costruzione d’infrastrutture petrolchimiche da parte di aziende italiane sul territorio arabo.
L’impennata del prezzo del greggio, dovuto all’embargo imposto dai principali esportatori all’occidente, che appoggiava Israele nella guerra arabo israeliana del 1973 fece avvicinare ulteriormente l’Italia a Riad.
Tale mossa, però, non tenne conto delle possibili conseguenze internazionali che non tardarono ad arrivare: tristemente noto fu il caso Eni-Petromin che vide il nostro paese riuscire ad ottenere il greggio a prezzo più basso di quello di mercato, scavalcando il cartello delle imprese statunitensi operanti nell’area (L’intrigo saudita- di Donato Speroni).
L’Italia si candidò, in seguito, a divenire uno dei primi 10 paesi clienti dell’Arabia Saudita con discreti risultati.
La situazione è oggi di molto cambiata, per Il futuro in Arabia Saudita si parla di sicurezza e difesa, del progetto politico denominato ‘’Vision 2030’.
Tale piano è già in atto con una velocità d’implementazione sostenuta e con processi decisionali molto veloci.
L’intento del governo di Riad è quello di diversificare l’economia saudita, di qualificare l’industria aerospaziale in primis attraverso joint venture che prevedano almeno la partecipazione al 50% dei Sauditi.
L’Italia avrebbe tante possibilità di giocare un ruolo di primo piano per la Vision 2030, ma deve mantenere una costanza di comportamenti orientati al rafforzamento delle relazioni commerciali e una persistenza politica in quell’area.
Le continue querelle sui contratti italiani approvati, a norma di legge, di vendita di armamenti all’Arabia Saudita non aiutano e non favoriscono progetti futuri di espansione di tale attività almeno in quel paese.
Voler affermare l’etica dei comportamenti, attaccando le attività commerciali del nostro paese è sbagliato nei concetti e nella sostanza, soprattutto se i fini sono di lotta politica interna: non possiamo noi avvelenare i pozzi che forniscono “acqua” al nostro paese, il veleno non distingue i colori politici.
Come conseguenza, il principe Mohammed bin Salman, visiterà Londra, Washington e Parigi per promuovere la Vision 2030.
L’Italia purtroppo, dovrà attendere e decidere come relazionarsi meglio con l’Arabia Saudita.