(di Nicola Simonetti) Avere un tasso elevato di colesterolo nel sangue (ipercolesterolemia) significa rischiare fortemente l’aterosclerosi, porta aperta all’ingresso di uno o più eventi cardiovascolari gravi.
Si impone individuare gli ipercolesterolemici e trattarli, subito, prevenire le conseguenze derivanti da quel sgradito ospite in eccesso. “C’è una quota parte non indifferente di italiani esposti a un rischio particolarmente elevato di eventi cardiovascolari acuti che è urgente individuare e controllare senza indugio. In particolare essi sono i reduci di una prima manifestazione di una patologia cardiovascolare e, cioè, i reduci da un infarto, quelli con un precedente ictus. Essi sono le vittime preferite e il re-infarto o altro evento è dietro l’angolo. Fondamentale, per loro, un intervento di prevenzione secondaria fondato essenzialmente sul controllo dei fattori di rischio”. Lo ha detto il prof. Pasquale Perrone Filardi (univ. Federico II, Napoli), alla II edizione di Meridiano Cardio promossa da The European House-Ambrosetti (“Nuove prospettive nella prevenzione secondaria cardiovascolare: focus sull’ipercolesterolemia”).
“Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte in Italia (220mila l’anno), essendo responsabili del 35% delle morti totali. Malattie ischemiche del cuore, cerebrovascolari, ipertensive, altre malattie cardiovascolari occupano le prime 5 posizioni. Non ci sorprenda, quindi – ha detto Francesco Saverio Mennini, professore di Economia Sanitaria, università Roma Tor Vergata – se i costi sanitari (diretti e indiretti) associati a tali patologie raggiungono i 21 miliardi di euro/anno. In particolare, i costi sanitari diretti, riconducibili per l’84% alle ospedalizzazioni, ammontano a 16 miliardi; quasi l’11% del bilancio totale della sanità in Italia”.
La prevenzione da attuare è presto detta: radicale modifica dello stile di vita, cessazione del fumo, adozione di un regime dietetico corretto e pratica abituale di attività fisica e, inoltre, intervento farmacologico mirato alla correzione del diabete, dell’ipertensione e dell’ipercolesterolemia.
Sullo scranno degli imputati quest’ultima condizione che, come rilevato da numerosi studi e dalla pratica clinica, assume ruolo cruciale nello sviluppo delle malattie cardiovascolari. Galeotto, specialmente il colesterolo LDL (C-LDL), riconosciuto universalmente quale fattore causale dell’aterosclerosi e del rischio di insorgenza di eventi cardiovascolari gravi.
Basterebbe, ad esempio abbassarlo, nel sangue, di soli 39 mg/dL (1 mmol/L) per ottenere un calo evidente del rischio relativo di eventi cardiovascolari del 10% al primo anno, del 16% al secondo anno e del 20% dopo tre anni di trattamento.
Sembrerebbe facile ma la realtà è differente. Il 50 per cento dei pazienti reduci da un evento acuto cardiovascolare non assume farmaci per il controllo del colesterolo e chi è in cura non è fedele ai farmaci prescritti. Sono osservanti solo il 45,9% dei pazienti a rischio molto alto e il 30,2% di quelli a rischio cardiovascolare medio.
Le regole di vita consigliate, inoltre, non sempre sono poste in pratica.
Facile da comprendere le discrepanze tra le realtà dimostrate dalla scienza e la pratica clinica con la conseguenza che l’ipercolesterolemia continua a farla da padrona ed imperversa, indisturbata, orientandosi a provocare un secondo o ulteriore altro evento cardiovascolare con le sue conseguenze specifiche.
“Le evidenze scientifiche oggi – puntualizza Perrone Filardi – ci dicono che il valore ideale di colesterolo, soprattutto nei soggetti a rischio molto alto, dovrebbe essere addirittura molto inferiore rispetto a quello attualmente raccomandato, Questo valore inferiore offre un vantaggio, per il paziente, in termini di meno ictus, meno infarti del miocardio, ridotto numero di ospedalizzazioni e di decessi.
Da tener presente che circa 4-10% dei pazienti in prevenzione secondaria – dice il prof. Marcello Arca (Policlinico Umberto I, Roma) – è portatore di ipercolestetolemia familiare, malattia genetica, che li rende resistenti alle terapie convenzionali. Essi vanno individuati e sottoposti a terapie più appropriate.
L’ipercolesterolemia è un fattore di rischio evitabile: “Colpirà presto o tardi/per evitarlo, basta avere i so’ riguardi” (proverbio veneto).
“I risultati evidenziano – ribadisce Mennini – come la quota di pazienti non a target sia molto alta, pari al 65,1% per gli utilizzatori di statine a bassa e moderata intensità e pari al 53,9% per gli utilizzatori di regimi ad elevata intensità, come dimostrato da nostra ampia ricerca . Ciò dipende anche dal fatto che una quota di questi pazienti risulta trattata in maniera “subottimale”. Anche nel caso di trattamento “ottimale”, più della metà dei soggetti non raggiunge i livelli target di LDL-C definiti dalle linee guida”.
“Sono disponibili – aggiunge Perrone Filardi – nuovi farmaci estremamente efficaci nel controllare l’ipercolesterolemia, tra cui gli inibitori del PCSK9. Si tratta di anticorpi monoclonali in grado di determinare una riduzione dei livelli di colesterolo superiore al 50%con un profilo di sicurezza e di tollerabilità eccellenti. Il loro impiego si traduce in una sensibile diminuzione del rischio cardiovascolare, con una riduzione di oltre il 20% di infarti e ictus, accanto a una riduzione delle necessità di sottoporre i pazienti a interventi di rivascolarizzazione coronarica”.
“Nonostante gli inibitori di PCSK9 rappresentino un’opportunità terapeutica di riconosciuta importanza, il loro utilizzo è ancora limitato Solo il 13-14% dei pazienti cui questi farmaci sono indicati – sottolinea Federico Spandonaro, professore economia sanitaria, università Roma Tor Vergata; Presidente, C.R.E.A. Sanità – è stato effettivamente sottoposto a questa terapia”.
Le ragioni di questo sottoutilizzo sono da ricercare in una serie di fattori, riconducibili ad esempio all’iter burocratico legato ai piani di rimborsabilità.
Raccomandato il raccordo tra medici prescriventi e sanitari del territorio.
“Si ritiene indispensabile – dice la dr Sabrina Nardi, Cittadinanzattiva – semplificare le implicazioni burocratiche, dare messaggi chiari ed essere vicini al paziente, aiutarlo nell’aderenza a terapie ed altre prescrizioni, riconoscere dignità al cittadino e risposte tempestive, adeguate, sicure ai suoi bisogni. Rivisitare i percorsi diagnostico-terapeutici, diversi ambiti, dalle attese per accedere ai controlli, alle visite e agli esami specifici, alle difficoltà per l’assistenza territoriale, per esempio sul versante riabilitativo e per l’accesso ai farmaci.”