Il quotidiano russo Izvestia ha rivelato il piano della Turchia per risolvere la questione del grano ucraino. Sarà la marina turca a sminare il Mar Nero e a scortare poi, in acque neutrali, le navi ucraine. L’obiettivo è quello di liberare a favore dei paesi africani (circa 53), mediorientali e asiatici, quasi 25 milioni di tonnellate di cereali ucraini conservati nei silos presso i porti a ridosso del Mar d’Azov, in gran parte controllati dai russi. Entro settembre arriveranno anche i nuovi raccolti che dovrebbero fruttare altre 75 tonnellate del prezioso frumento.
La proposta turca vuole evitare che la Russia possa vendere, come first player, il grano sottratto all’Ucraina ai paesi africani aumentando così a dismisura il consenso tra la popolazione del continente nero.
Ad ostacolare la proposta di Erdogan ci sono gli ucraini che non digeriscono affatto l’allentamento delle difese di Odessa costituite dalle mine. Più chiaro è stato il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba che dichiara la sfiducia totale nel nemico: “Putin vi dice che non userà le vie commercial’ per attaccare Odessa? E lo stesso Putin che diceva al cancelliere tedesco Scholz e al presidente francese Macron che non avrebbe mai attaccato l’Ucraina”.
Ci sono altre soluzioni che però, parimenti, non ricevono il parere favorevole dell’establishment di Zelensky. Trasportare il grano via Bielorussia, creare un corridoio per farlo salpare dal porto di Mariupol già sminato, ovvero usare i fiumi.
Anche la posizione della Turchia non è vista di buon occhio da Kiev. Erdogan sta nella Nato, fornisce le armi a Kiev ma è anche amico di Putin.
L’unica soluzione perseguibile potrebbe essere una missione navale di scorta sotto l’egida dell’Onu. Ma quale Paese sarebbe disposto a schierare navi militari in una zona di mare caldissima dove l’incidente può essere provocato in qualsiasi momento (da russi ed ucraini) per alzare l’asticella del conflitto e coinvolgere così la Nato e l’Ue.
Certo è che occorre scongiurare quanto prima i presupposti di una carestia nei Paesi africani che riverserebbero inevitabilmente centinai di migliaia di migranti verso le coste europee, quelle italiane diventerebbero il primo porto di approdo. Una situazione insostenibile per il nostro Paese che già ha i suoi centri di prima accoglienza al collasso a fronte di una politica di ridistribuzione comunitaria poco chiara ed, ad oggi, ancora inefficace.