Caos Sudan

di Emanuela Ricci

Il conflitto in Sudan, iniziato nel 2023, ha causato una catastrofe umanitaria di proporzioni immani, con circa 150.000 morti e oltre 5 milioni di persone costrette a lasciare le proprie case. Oltre a queste devastanti perdite umane, il paese è sull’orlo di una delle peggiori carestie degli ultimi 40 anni, mettendo a rischio la vita di milioni di persone. Tuttavia, la gravità della situazione non si limita all’aspetto umanitario: il conflitto ha conseguenze geopolitiche significative, che rischiano di destabilizzare non solo la regione africana ma anche il Medio Oriente e l’Europa.

Il Sudan, situato nell’angolo nord-orientale dell’Africa, rappresenta un punto nevralgico tra il Sahara, il Sahel e il Corno d’Africa. La sua posizione strategica lo rende un crocevia di influenze geopolitiche, soprattutto per i paesi del Golfo, che lo vedono come un’estensione della loro sfera di influenza. La città portuale di Port Sudan, dove si trovano le forze armate sudanesi (SAF), è a breve distanza da Abu Dhabi e Teheran.

Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) sono uno degli attori esterni più influenti nel conflitto. La loro alleanza con le Forze di Supporto Rapido (RSF), il principale avversario delle SAF, è guidata da interessi sia personali che strategici. Muhammad Hamdan Dagalo, noto come Hemedti, leader delle RSF, ha stretto legami con gli EAU durante il conflitto in Yemen e in Libia, dove ha combattuto al fianco di Khalifa Haftar. Gli EAU vedono nel Sudan un’opportunità per espandere la loro influenza economica e militare in Africa, investendo in settori come l’agricoltura e la logistica, e controllando risorse cruciali come l’oro. Il progetto di costruzione di un porto sudanese per l’esportazione di prodotti agricoli è solo uno dei tanti esempi di come gli Emirati intendano consolidare la loro presenza nella regione.

Il coinvolgimento degli EAU non è l’unico esempio di come la guerra in Sudan abbia attirato forze esterne. L’Egitto, pur essendo tradizionalmente un alleato degli Emirati, ha fornito droni turchi alle SAF, in una mossa che potrebbe essere mitigata dagli impegni finanziari degli EAU nei confronti del Cairo. Anche la Turchia e il Qatar cercano di aumentare la loro influenza in Sudan. La Turchia attraverso la fornitura di armi e investimenti, mentre il Qatar è sospettato di aver depositato ingenti somme di denaro nella banca centrale sudanese per sostenere la valuta locale e ha poi firmato un accordo per aumentare il commercio di oro tra i due paesi, a discapito di Dubai.

La guerra in Sudan ha anche coinvolto diversi paesi africani. Le RSF hanno stabilito linee di rifornimento attraverso la Libia, il Sud Sudan e il Ciad, e hanno reclutato combattenti da questi paesi e da altri stati fragili come il Niger e la Repubblica Centrafricana. Le forze armate sudanesi, d’altra parte, sono supportate da milizie addestrate in Eritrea e hanno collaborato con gruppi etnici come i Tigrini per rafforzare le loro posizioni.

Il rischio più grande del conflitto in Sudan è che la disintegrazione dello Stato possa avere ripercussioni a catena in tutta la regione. La destabilizzazione del Sudan potrebbe, infatti, avere effetti devastanti su paesi già fragili come il Ciad, il Sud Sudan e l’Etiopia. Quest’ultima potrebbe approfittare del caos in Sudan per rivendicare terre agricole contese al confine, mentre il conflitto potrebbe riaccendere la guerra civile nella regione del Tigray o intensificare le tensioni con l’Eritrea.

Il pericolo di una recrudescenza del terrorismo è un’altra grave preoccupazione. Il Sudan ha ospitato Osama bin Laden negli anni ’90, e i timori che possa tornare ad essere un rifugio sicuro per gruppi jihadisti come al-Qaeda e lo Stato Islamico sono reali. Anche l’Iran è interessato a rafforzare la sua presenza nella regione, cercando di stabilire una base navale sulla costa sudanese, che potrebbe diventare un nuovo nodo nella sua rete di proxy e potenzialmente fornire armi ai ribelli Houthi nello Yemen.

Nonostante la sua gravità, la guerra in Sudan è stata in gran parte ignorata dalla comunità internazionale, distratta da altre crisi globali come la guerra in Ucraina e il conflitto a Gaza. Gli Stati Uniti, l’Unione Europea e le Nazioni Unite hanno mostrato una preoccupante mancanza di interesse e soprattutto di azioni concrete. Le istituzioni internazionali, come il Consiglio di Sicurezza dell’ONU e l’Unione Africana, hanno fallito nel coordinare una risposta efficace al conflitto, evidenziando l’incapacità dell’attuale ordine internazionale di affrontare crisi complesse in un mondo sempre più multipolare e caotico.

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