Sono almeno 14 le persone arrestate in Catalogna nell’ambito dell’operazione condotta dalla Guardia Civil spagnola per bloccare il referendum indipendentista del primo ottobre, che Madrid considera illegale. La polizia ha anche sequestrato fra i nove e i dieci milioni di schede già pronte per la consultazione ed effettuato una quarantina di perquisizioni, che hanno coinvolto diverse sedi delle istituzioni catalane. Oltre ad alti funzionari catalani, fra cui il segretario generale per l’Economia, Josep Maria Jovè numero due del vicepresidente della Generalitat di CATALOGNA, Oriol Junquera , vi sono anche i responsabili di due imprese private nelle cui sedi è stato trovato materiale propagandistico ed elettorale. I milioni di schede elettorali già stampate erano nascosti in una fabbrica della cittadina catalana di Bigues i Riells. Secondo l’emittente Tve tutti le schede pronte per la consultazione sono ormai nelle mani della polizia. Il ministero dell’Interno spagnolo ha confermato le perquisizioni, ma non i numeri degli arresti. “L’operazione è ancora aperta”, hanno detto fonti della polizia. Fra le istituzioni catalane interessate da arresti e perquisizioni vi sono i dicasteri catalani dell’Economia, gli Esteri, e gli Affari Sociali, del Centro Tecnologia della’Informazione (CTTI) e dell’Agenzia tributaria della CATALOGNA. L’obiettivo dell’intera operazione, non è soltanto quello di smantellare la rete organizzativa e logistica del referendum, ma anche di verificare l’utilizzo di fondi pubblici a tal fine.
Il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy ha difeso in parlamento l’operazione, affermando che corrisponde alle decisioni del tribunale “perchè venga rispettata la legge”. Poi ha ricevuto separatamente Pedro Sanchez e Albert Rivera, rispettivamente leader del partito socialista e di Ciudadanos, le due forze che non partecipano al suo governo di minoranza ma ne hanno permesso la formazione. Rivera, il cui partito è nato a Barcellona in opposizione agli indipendentisti, ha espresso un chiaro sostegno all’azione di governo, necessaria “per fermare il golpe contro la democrazia in Catalogna. Sanchez non ha finora commentato l’incontro, ma il Psoe ha fatto sapere di aver “sempre difeso la legalità” e di mantenere l’appoggio al governo “compreso per le misure che risultano difficili da accettare”. L’ala catalana del partito socialista ha esortato il governo locale di Barcellona a rinunciare al referendum unilaterale, chiedendo l’apertura di un processo di dialogo fra le parti. Nessun appoggio agli arresti da parte di Podemos. Il leader del partito antisistema, Pablo Iglesias, ha dichiarato di “non ritenere sensato che in un paese democratico vi siano prigionieri politici”.
Le reazioni del mondo politico italiano
“Mi auguro non ci siano evoluzioni preoccupanti”, così il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, a New York per l’assemblea generale Onu. Trattasi di “una questione interna alla Spagna, spero non abbia evoluzioni preoccupanti. Chiunque ha visitato quel Paese, sa che è difficile qualsiasi paragone con altri contesti come quello italiano”.
“Totale solidarietà ai 14 cittadini arrestati in Caraligna dal governo spagnolo per motivi “politici”, per impedire un libero referendum. Dieci milioni di schede elettorali sequestrate, conti correnti bloccati, militanti arrestati. Come contro la Lega in Italia, i poteri forti usano ogni mezzo per bloccare il cambiamento. Vergogna, le idee non si arrestano”. Lo ha affermato in una dichiarazione il segretario della Lega Matteo Salvini.
Luigi Di Maio: “C’e’ grande apprensione per quello che sta accadendo in Catalogna. Invitiamo il ministro degli Esteri a seguire con attenzione quello che sta accadendo anche perchè ci saranno molti italiani. Noi siamo sempre stati per l’espressione libera di un popolo e se un popolo chiede di potere prendere una decisione con uno strumento democratico lo deve potere fare. Però queste questioni riguardano la Catalogna e la Spagna e devono decidere loro”. Lo ha detto
“L’Italia resta a guardare mentre la Spagna reprime a suon di arresti una legittima, pacifica e democratica richiesta del popolo e del Governo, regolarmente eletto dai cittadini, della Catalogna, di poter svolgere un referendum. E’ imbarazzante il silenzio del nostro Governo, come al solito incapace di prendere una qualunque posizione”. Lo afferma Roberto Calderoli, vicepresidente del Senato e responsabile Organizzazione e territorio della Lega Nord. “Cosa aspettiamo a ritirare il nostro ambasciatore a Madrid fino a quando la Spagna non tornerà a garantire la democrazia?”.
Come è nato il referendum in Catalogna
Il referendum sull’indipendenza catalana previsto per il 1 ottobre che sta lacerando il Paese e creando uno scontro politico, istituzionale e giuridico senza precedenti nella storia della Spagna democratica, ha una storia ormai quasi più che decennale. Andiamo al marzo del 2006 infatti, quando il Parlamento spagnolo adotta una nuova versione dello Statuto catalano che rafforza l’autonomia della Comunità Autonoma e nel suo preambolo definisce la Catalogna “una nazione” all’interno dello Stato spagnolo. Il nuovo statuto stabilisce inoltre “il diritto e il dovere” dei cittadini catalani di conoscere e parlare le due lingue ufficiali, il catalano e il castigliano. Ma nel luglio di quell’anno, il partito Popolare di Mariano Rajoy, all’epoca all’opposizione, presenta un ricorso contro il nuovo Statuto dinanzi alla Corte Costituzionale e definisce il testo una minaccia all’unità della Spagna. La decisione della Corte arriva ben quattro anni dopo, nel giugno del 2010, quando il supremo tribunale costituzionale spagnolo annulla una parte dello Statuto catalano, stabilisce che il riferimento alla Catalogna come “nazione” non ha “nessun valore giuridico” e che la Costituzione “non riconosce altro che la nazione spagnola”. La Corte nega l’uso della lingua catalana come prima lingua nelle amministrazioni catalane e sui mezzi di comunicazione. La decisione della Corte scatena la reazione di parte dei catalani, e un mese dopo alcune migliaia di persone scendono in piazza al grido di ‘Siamo una nazione, decidiamo noi’.
Una manifestazione molto più imponente si terrà due anni dopo, l’11 settembre del 2012, quando quasi un milione di persone invadono le strade di Barcellona in occasione della ‘Diada catalana’ la festa catalana, con lo slogan “Catalogna prossimo stato d’Europa’. Nel frattempo Rajoy è arrivato al governo di Madrid con la promessa di una drastica politica fiscale di austerità. In questo quadro, il premier dei popolari nega al presidente della Catalogna Artur Mas, un nazionalista e conservatore con poche velleità indipendentiste, una maggiore autonomia fiscale per la Catalogna, così’ come invece avviene per i Paesi Baschi e la Navarra. Pochi mesi dopo, Mas vince le elezioni catalane con la promessa di celebrare un referendum sull’autodeterminazione. Il sentimento indipendentista cresce e l’anno dopo, sempre in occasione della ‘Diada’, i manifestanti formano una catena umana di 400 km per tutta la regione, come segno di volontà di indipendenza della regione di sette milioni e mezzo di abitanti, la più ricca della Spagna di cui produce il 18% del Pil. Il 9 novembre del 2014 la Catalogna organizza una consulta simbolica, non riconosciuta dal governo di Madrid e dalla Corte Costituzionale che la giudica illegittima. Al referendum il voto favorevole all’indipendenza raggiunge oltre l’80% ma la partecipazione è modesta, va alle urne solo il 36% degli aventi diritto. Il 27 settembre del 2015 la Catalogna va alle urne e le elezioni anticipate si presentano come un plebiscito a favore o contro l’indipendenza. I partiti separatisti, di destra e di sinistra, arrivano al 47,8% e per la prima volta sono maggioranza al Parlamento catalano. Il 9 novembre del 2015 la Camera catalana adotta una risoluzione con cui lancia il processo che deve concludersi con la proclamazione dello Stato catalano indipendente in forma di Repubblica al massimo nel 2017. La risoluzione sara’ annullata dalla Corte Costituzionale Il 10 gennaio del 2016, Carles Puigdemont, separatista da sempre, diventa presidente della Generalitat di Catalogna e nel giugno del 2017 annuncia la celebrazione di un referendum di autodeterminazione per il 1 ottobre, malgrado il divieto della giustizia spagnola. Lo stesso governo di Rajoy assicura da subito che “il referendum non si celebrerà”. A settembre la Corte Costituzionale sospende il decreto con cui il governo catalano ha indetto il referendum e il Parlamento catalano, per tutta risposta, approva la cosiddetta ‘legge di rottura’, un provvedimento di transizione con cui si stabilisce di fatto il passaggio istituzionale della Catalogna verso l’indipendenza e la Repubblica in caso di vittoria del ‘Si’ al referendum. Ma la Corte sospende anche questa legge. Gli indipendentisti ripetono che il referendum si farà. Le autorità spagnole ribadiscono che faranno di tutto per evitarlo.