Gianluca Di Feo ha intervistato su la Repubblica il capo di stato maggiore della Difesa italiana, Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone sulla vicenda dei sommergibili e navi russe scovati a perlustrare nelle nostre acque, nel Mare Adriatico. L’Ammiraglio ha voluto precisare che la nostra Marina militare ha sempre tenuto sotto controllo e a bada il naviglio agli ordini di Mosca. Riproponiamo, quindi, fedelmente l’intervista pubblicata sul noto quotidiano italiano considerata l’importanza della vicenda e della materia che interessa da vicino le nostre Forze Armate e la Difesa nazionale.
Cosa hanno fatto esattamente le navi russe nell’Adriatico?
“Non hanno certo bloccato il Canale d’Otranto: il traffico navale è proseguito tranquillamente. E stata un’operazione di pattugliamento, subito contrastata dall’azione della nostra Marina. Non si è trattato di un confronto tra la Nato e i russi o tra gli americani e i russi: in quelle acque c’era la portaerei “Truman”, che però agisce sotto comando statunitense. Sono state le forze italiane a prendere le contromisure”.
Cosa avete fatto?
“Appena il Comando della Squadra Navale è venuto a conoscenza dei movimenti russi, l’ammiraglio Aurelio De Carolis ha mobilitato le unità più vicine, che in quel momento erano impegnate nel dispositivo europeo di Inni, nella missione di pattugliamento della Nato e nella normale vigilanza marittima. Una reazione fluida, da manuale, ordinando quella che viene chiamata “un’operazione di ricerca”. Si sono mosse due fregate Fremm, le più moderne della nostra flotta. La “Bergamini” sul caccia russo “Ammiraglio Tributs”; la “Marceglia” sull’incrociatore “Varyag”. Gli aerei P72 dell’Aeronautica le hanno sorvolate senza sosta. Poi è sopraggiunta pure la fregata “Libeccio“. Insomma, non le abbiamo mollate un attimo“.
Perchè vicino alle nostre coste?
“È un’attività abbastanza routinaria, indirizzata sulla posizione delle forze Nato in funzione della crisi ucraina. I russi hanno pattugliato, hanno in qualche modo “sollecitato” il dispositivo della flotta statunitense e valutato come reagiva. C’era la nave spia “Vasily Tatishchev” che si occupa di analizzare le frequenze dei radar. Noi le abbiamo seguite e studiato le loro mosse. Sono situazioni in cui non è chiaro chi pedina chi o, come diciamo in gergo, chi “ombreggia” chi: manovre esattamente speculari”.
A che distanza sono rimaste le navi dei due schieramenti?
“Si resta a distanze maggiori per esaminare le emissioni dei radar, ma spesso si è arrivati a poche centinaia di metri. Abbiamo mandato anche il sottomarino “Longobardo”, che ha presidiato tutta l’area: quando sapeva di non essere inquadrato dai sonar, si è spinto molto più in prossimità. Le foto scattate dal periscopio dimostrano quanto fosse vicino alle unità russe”.
Ora le navi russe sono andate via?
“Non sono più nell’Adriatico. Si sono spostate più a sud, nello Ionio. Ed è arrivata “l’Ammiraglio Grigorovich“, una delle fregate più moderne della loro flotta: è dotata dei missili a lungo raggio Kalibr, protagonisti del conflitto in Ucraina. Un tipo di arma a cui dobbiamo prestare attenzione anche nel Mediterraneo”.
Questo non è stato l’unico confronto con la marina di Mosca?
“Dopo l’invasione dell’Ucraina sono aumentati: accadono pure davanti alla Libia e in prossimità del Bosforo. Fino al 2015 c’era una sola nave russa nel Mediterraneo. Poi con investimenti consistenti hanno ristrutturato il porto siriano di Tartous, che dal 2017 hanno ottenuto in concessione per mezzo secolo, trasformandolo in una base importante. Lo scorso anno si contavano una dozzina di unità di Mosca: si muovevano nelle zone a sud di Cipro, dove sono stati individuati giacimenti di idrocarburi, e ovviamente nelle aree di esercitazione della Nato. Infine, in vista della crisi ucraina hanno schierato un dispositivo potente, con ben venti navi”.
E come rispondete a questa situazione?
“La nostra risposta è molto dinamica, con il contributo di tutti gli alleati. Ad aprile due dei loro sottomarini Kilo si sono avvicinati alla flotta Nato nel Mar Ionio ma sono stati individuati dalle fregate italiane sin dal primo giorno. Li abbiamo tenuti nei sonar per dieci giorni, poi un’unità francese ha dato il cambio alle nostre. Nei sottomarini sentono i nostri sonar che li “pingano” ossia li inquadrano: hanno capito che non riuscivano a sfuggire al controllo e sono andati via”.
Sembrano scene del film “Caccia all’Ottobre Rosso”: una situazione ad alta tensione…
“Non ci sono mai stati incidenti. Lo scenario che stiamo vivendo è esattamente quello previsto nel concetto strategico definito a giugno dal ministro Guerini. Quando, spero presto, si arriverà alla pace in Ucraina, ci sarà un grosso riverbero sul Mediterraneo e dovremo gestirlo per tanto tempo. Perché qui si trovano le fonti di approvvigionamento di Mosca, perché il Nord Africa è un’area che i russi vogliono destabilizzare e noi dobbiamo muoverci per impedirlo. Dagli stati costieri al Sahel, l’attività russa è nota e si andrà a manifestare con maggiore intensità nei prossimi anni”.
Quindi il confronto navale non è legato alla guerra in Ucraina?
“Non bisogna farsi illusioni: la presenza russa è destinata a proseguire ed aumentare. Il 31 luglio scorso Putin ha firmato un documento in cui indica come strategico il Mediterraneo: sarà il cardine del confronto con la Nato e i russi manterranno una forza navale stabile. Saranno particolarmente assertivi in Medio Oriente e in Africa, dove vogliono creare una base in Sudan. Cercheranno di rilanciarsi in Egitto, in Libia e in Algeria. L’attenzione russa non è più solo nel Mediterraneo orientale, ma anche in quello centrale. Dobbiamo prepararci e per questo, dopo quello che è avvenuto in Adriatico, ho ordinato di cambiare il nostro dispositivo di sicurezza navale. L’operazione “Mare Sicuro” adesso è diventata “Mediterraneo Sicuro” e il pattugliamento ampliato in tutto il bacino, non solo nelle aree più vicine all’Italia: è l’unica maniera per avere il controllo della situazione“.
Gli strumenti della Difesa sono all’altezza della nuova situazione?
“Non ci svegliamo oggi. Il Documento di pianificazione, presentato un mese fa dal ministro al Parlamento, prevede 170 programmi già avviati a cui ne abbiamo aggiunti altri 47: sono tutti destinati all’ammodernamento dello strumento militare per le nuove sfide, comprese le lezioni che stiamo traendo dall’Ucraina. I tempi di realizzazione però non sono rapidi. Prendiamo l’Esercito. In cima alle priorità della Difesa c’è la necessità di aggiornare i veicoli medi e pesanti, come i mezzi blindati e i carri armati: sono processi di lunga attuazione, anche se sono in carburazione da anni”.
Come state rinforzando le dotazioni per la sicurezza del Mediterraneo?
“Nel Mediterraneo dovremo fronteggiare un’importante minaccia subacquea, che diventerà ancora più pressante. Abbiamo un programma per costruire quattro sottomarini e due fregate Fremm dedicate a questo scopo. Ci manca però un aereo con la capacità di scoprire i sottomarini e grande autonomia. Ci sono poi altre esigenze: all’Aeronautica serve un velivolo da trasporto strategico, ad esempio, per gli interventi all’estero. Perché tutta la modernizzazione della Difesa va gestita in una concezione interforze”.