Cecilia Sala: la Farnesina chiede la “liberazione  immediata” mentre l’ex 007 Mancini critica l’intelligence

di Emanuala Ricci

La Farnesina, con una nota ufficiale, ha chiesto la liberazione immediata di Cecilia Sala e garanzie totali sulle sue condizioni di detenzione. Ormai è evidente che la detenzione della giornalista italiana è strattamente legata a quella di Mohammad Abedini Najafabadi, l’ingegnere dei droni arrestato a Malpensa il 16 dicembre scorso, su richiesta delle autorità statunitensi. Non a caso Sala è stata prelevata in albergo il 19 dicembre, appena 12 ore dopo che l’operazione di polizia – Digos – congiunta Italia-Usa a Malpensa. Si fa sempre più insistente la voce di uno “scambio” di prigionieri. E qui l’affare si complica perchè la Corte di Appello di Milano si deve ancora esprimere sulla richiesta americana di estradizione del prigioniero iraniano. I tempi potrebbero dilatarsi e superare anche i dieci giorni annunciati in prima istanza. Per questo motivo il governo italiano ha chiesto condizioni di detenzione dignitose per Cecilia. «Tratteremo la reporter italiana in modo dignitoso», hanno rassicurato le autorità iraniane appena dopo l’arresto avvenuto il 19 dicembre, nell’hotel in cui alloggiava e che avrebbe dovuto lasciare il giorno successivo per fare rientro a casa. Da allora Cecilia Sala è stata tenuta in una cella singola. La nota della Farnesina chiede, di fatto, di fornire a Sala anche generi di conforto e la garanzia che vengano consegnati.

Le autorità iraniane avevano offerto all’ambasciatrice italiana in Iran, Amadei, rassicurazioni sulle condizioni di detenzione della giornalista, ma le parole riportate dai suoi genitori, dopo l’ultima telefonata, raccontano una realtà diversa. I beni di prima necessità che il 30 dicembre scorso la stessa Amadei aveva affidato al viceministro degli Esteri della Repubblica islamica, Vahid Jalalzadeh, non sono mai arrivati a Sala. Fonti di palazzo rifersicono che il negoziato per la scarcerazione e l’espulsione dall’Iran della giornalista italiana è ora gestito direttamente dall’intelligence nostrana.

Ad avvalorare la tesi dello scambio dei prigionieri anche il fatto che le autorità iraniane non hanno specificato le accuse contro Sala, al di là di una generica violazione della legge del Paese. L’avvocato dell’ingegnere Abedini ha già, di fatto, chiesto gli arresti domiciliari alla Procura generale che esprimerà un parere tra oggi e sabato. L’udienza però potrebbe essere fissata non prima del 13 gennaio prossimo.

Ad esasperare il dibattito nazionale emergono le dichirazioni di Marco Mancini, pubblicate dal Riformista alla vigilia di Capodanno. Secondo Mancini, a lungo ai vertici del Dis e dell’Aise, errori e ritardi nella catena di prevenzione dell’intelligence non avrebbero fatto nulla per evitare il carcere a Cecilia Sala. Se la prassi dello scambio di prigionieri da parte dell’Iran è ormal consolidata, ci sarebbe stata – sostiene Mancini – una qualche leggerezza di troppo. Quando le autorità hanno saputo di dover arrestare una probabile spia iraniana all’aeroporto della Malpensa, avrebbero dovuto agire in tutta fretta per mettere al sicuro l’inviata. Cosa che non risulta essere stata fatta, se è vero che l’iraniano Abedini viene arrestato il 16 e la Sala il 19, tre giorni dopo. «In quel tre giorni bisognava fare di tutto per esfiltrarla, per metterla al sicuro anche con un volo privato per Baghdad o la Turchia», sottolinea l’ex dirigente dell’intelligence. In soccorso del comparto interviene direttamente il ministro dell’Interno, Matteo Plantedosi, in un’intervista a La Stampa: «Non è il momento di fare congetture né è opportuno farle». «La riservatezza – ha proseguito il ministro – è uno degli elementi fondamentali per arrivare al risultato che tutti noi desideriamo: il suo ritorno a casa. Il ministero degli Esteri e l’intelligence stanno lavorando per ottenere la sua liberazione e confidiamo di poterci riuscire il prima possibile». Nonostante la comprensibile prudenza del Capo del Viminale, dettata anche dalla riservatezza chiesta per la delicata vicenda da Palazzo Chigi, il dott. Mancini nel suo ragionamento è stato, però, pragmatico e diretto: «La nostra connazionale aveva già svolto attività a favore delle donne iraniane, si era già esposta. Era attenzionata dal pasdaran, lo dico per esperienza: era certamente già un target. Quando ha chiesto il visto di Ingresso come giornalista, la richiesta di visto è andata direttamente alla sezione dei pasdaran che controllano chi lavora contro il governo Iraniano. In quella sede nascono tutti gli arresti-sequestri del regime. E l’hanno sicuramente messa nel mirino. Queste cose però non devo dirle io oggi al Riformista, dovevano dirle per tempo gli organismi preposti alla sicurezza dei nostri connazionali».

Certo è che in queste fasi della probabile trattativa in corso, il silenzio, appare d’obbligo.

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