Sono poco meno di 240 mila le imprese italiane che, secondo la definizione della normativa europea, presentano delle esposizioni bancarie deteriorate. In altre parole, precisa la CGIA di Mestre, stiamo parlando delle aziende e delle partite Iva che risultano essere “schedate” presso la Centrale dei Rischi della Banca d’Italia come insolventi. Una classificazione che, di fatto, pregiudica, per legge, a questi soggetti economici di accedere ad alcun prestito erogato dalle banche e dalle società finanziarie. Una condizione che, ovviamente, non consente di avvalersi nemmeno delle misure agevolate messe in campo recentemente dal Governo con il cosiddetto “decreto Liquidità” .
Bisogna pubblicizzare e rifinanziare il Fondo di Prevenzione
“Non potendo ricorrere a nessun intermediario finanziario – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – queste Pmi, strutturalmente a corto di liquidità e in grosse difficoltà finanziarie, in questo periodo di carenza di credito rischiano molto più delle altre di scivolare tra le braccia degli strozzini. Riteniamo che per evitare tutto questo sia necessario incentivare il ricorso al “Fondo per la prevenzione” dell’usura. Uno strumento, quest’ultimo, presente da decenni, ma poco utilizzato, anche perché sconosciuto ai più e, conseguentemente, con scarse risorse economiche a disposizione”.
Il “Fondo di prevenzione” dell’usura, ricorda l’Ufficio studi della CGIA, è stato introdotto con la legge n° 108/1996 e ha cominciato ad operare nel 1998. Questa misura consente agli operatori economici a “rischio” finanziario di accedere a canali di finanziamento legali e dall’altro aiuta le vittime dell’usura che, non svolgendo un’attività di impresa, non hanno diritto ad alcun prestito da parte del “Fondo di solidarietà”. Il “Fondo di prevenzione” prevede due tipi di contribuzione. La prima è destinata ai Confidi a garanzia dei finanziamenti concessi dalle banche alle attività economiche. La seconda è riconosciuta alle fondazioni o alle associazioni contro l’usura che sono riconosciute dal MEF. Queste realtà consentono alle persone in grave difficoltà economica (lavoratori dipendenti e pensionati) di accedere al credito in sicurezza. Dal 1998 al 2018, ai Confidi e alle Fondazioni lo Stato ha erogato 620 milioni di euro, di cui 430 ai primi e 190 ai secondi. Tali risorse hanno garantito finanziamenti per un importo complessivo pari a circa 2 miliardi di euro. Nel 2018 ai due enti erogatori (Confidi e Fondazioni) sono stati assegnati 19,8 milioni di euro (contro i 26,8 erogati l’anno prima). A imprese e cittadini, invece, grazie a queste garanzie sono stati erogati 67,7 milioni di euro di prestiti. Nel 2017, infine, il numero dei beneficiari che ha ottenuto un prestito con l’ausilio del “Fondo di prevenzione” è stato di soli 2.260 soggetti (1.027 attraverso i Confidi e 1.233 per mezzo delle Fondazioni) .
Sebbene il fenomeno sia in espansione, i numeri ufficiali dell’usura sono in calo
Numeri, quelli del “Fondo di prevenzione”, risibili rispetto alla preoccupante dimensione che ha raggiunto l’usura nel nostro Paese. Un fenomeno, quest’ultimo, che negli ultimi anni ha visto diminuire anche il numero delle segnalazioni alle forze dell’ordine.
“Con le sole denunce effettuate all’Autorità giudiziaria – afferma il segretario Renato Mason – non è possibile dimensionare il fenomeno dell’usura. Le segnalazioni, purtroppo, continuano ad essere molto poche. Con la depressione economica in corso, anche le forze dell’ordine hanno denunciato in più di una occasione molti segnali di avvicinamento delle organizzazioni criminali al mondo dell’imprenditoria. Questo dimostra che lo Stato deve intervenire con massicce dosi di liquidità, altrimenti molte imprese cadranno prigioniere di questi fuorilegge. Altresì, bisogna cambiare le regole di accesso al credito; se non lo faremo salveremo quest’ultime, ma perderemo per strada tantissime imprese”.
Negli ultimi 10 anni, infatti, il numero delle denunce per usura ha toccato il suo picco massimo nel 2013 (460). Il dato, poi, è progressivamente sceso toccando il valore minimo nel 2018 (189). Rispetto al 2010, il numero delle denunce registrato nel 2018 (ultimo aggiornamento disponibile) è crollato della metà.
Le scadenze fiscali sono un “innesco” pericoloso
Le scadenze fiscali, dicevamo, spesso sono l’ “innesco” che attiva molte aziende a corto di liquidità a “contattare” o a essere “contattate” dalle organizzazioni criminali, che da sempre possono contare su importanti disponibilità di denaro proveniente da attività illegali. E da giovedì scorso (16 luglio) fino al prossimo 31 luglio ci troveremo di fronte ad un vero e proprio ingorgo fiscale. A seguito dello slittamento delle scadenze avvenuto nei mesi scorsi a causa del Covid, salvo cambiamenti dell’ultima ora, saranno ben 246 le scadenze fiscali (Irpef, Irap, Ires, Iva, ritenute e contributi Inps) che le aziende saranno chiamate a rispettare. Di queste, il 93,5 per cento riguarda versamenti. Giornate a forte rischio che, speriamo, non vadano ad alimentare il mercato del credito irregolare.
La situazione più critica è al Sud
Al 31 marzo di quest’anno, il maggior numero di imprese affidate con sofferenze era localizzato al Sud. In totale erano 80.500, contro le 59.659 del Centro, le 57.325 del Nordovest e le 39.369 del Nordest. A livello regionale è la Lombardia a guidare la graduatoria con 36.024 imprese in sofferenza. Seguono il Lazio con 24.328 e la Campania con 21.762. A livello provinciale, invece, la situazione più critica si presenta a Roma con 18.041 imprese in difficoltà a restituire i prestiti contratti. Seguono Milano con 13.240, Napoli con 11.004 e Torino con 8.328.