Due ministeri su tre continuano a pagare in ritardo i propri fornitori. Questa cattiva abitudine che da decenni caratterizza la gran parte della Pubblica Amministrazione (PA) italiana è proseguita anche nei primi due trimestri di quest’anno. Sebbene sia ancora presto per generalizzare, nel caso dei dicasteri abbiamo la conferma che i ritardi di pagamento continuano. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.
Nell’ultima rilevazione [secondo trimestre 2023], infatti, l’Indice di Tempestività dei pagamenti (ITP) [in sintesi, l’Indicatore di Tempestività dei Pagamenti viene definito in termini di ritardo/anticipo medio di pagamento ponderato in base all’importo delle fatture e, per il suo calcolo, il Ministero dell’Economia e Finanze ha fornito dettagliate istruzioni operative con le circolari n. 3/2015 e n. 22/2015] per nove ministeri su 14 è stato anticipato dal segno più; ciò vuol dire che la maggioranza di questi enti non ha rispettato le disposizioni di legge in materia di pagamenti nelle transazioni commerciali tra PA e imprese private [dal 2013, a seguito del recepimento nel nostro ordinamento della normativa europea contro i ritardi di pagamento (Direttiva UE/2011/7), i tempi di pagamento nelle transazioni commerciali tra enti pubblici italiani e aziende private non possono superare di norma i 30 giorni (60 per alcune tipologie di forniture, in particolare quelle sanitarie)].
La situazione più critica riguarda il Ministero dell’Università e della Ricerca: se nel primo trimestre di quest’anno la media dei pagamenti era avvenuta con 12,22 giorni di anticipo, nel secondo il ritardo ha superato gli 80 giorni. Male anche il Turismo che dopo il +14,26 del primo trimestre ha visto salire i ritardi nel secondo a +68,80. In affanno anche il Ministero dell’Interno: dopo il +46,70 dei primi tre mesi, nei secondi tre è sceso a +39,85, ma comunque ancora tremendamente in ritardo rispetto ai tempi di pagamenti previsti dalla legge. Critica anche la situazione del Ministero del Lavoro che ha registrato un +9,45 e +26,28 giorni rispettivamente nel primo e nel secondo trimestre.
In controtendenza ci sono solo pochi ministeri: se quello delle Imprese e del Made in Italy mantiene dall’inizio dell’anno un anticipo di circa un solo giorno, gli Esteri sono passati da -3,65 a -2,73 giorni, mentre la Difesa nel primo trimestre aveva registrato un ritardo di 2,92, ma nel secondo ha recuperato, saldando le fatture con 4,33 giorni di anticipo. L’unico dicastero che è estremamente virtuoso è l’Agricoltura: se nei primi tre mesi del 2023 il pagamento rispetto al termine contrattuale è stato anticipato di 46,25 giorni, nei secondi tre mesi è sceso a -17,79 giorni.
Fino a oggi, solo cinque ministeri hanno aggiornato i dati relativi all’ITP del terzo trimestre 2023 e solo l’Agricoltura (-23,16 giorni) prosegue, anche se in decalage, lungo la scia positiva registrata nei due trimestri precedenti. Gli altri quattro – Imprese e Made in Italy (+16,21 giorni), Infrastrutture e Trasporti (+16,89), Università/Ricerca (+18,51) e Interno (+35,78) – sono sconsolatamente in ritardo.
E con il rallentamento dell’economia in atto, è molto probabile che in questi primi nove mesi dell’anno ad allungare i tempi di pagamento ci abbiano pensato anche le altre realtà pubbliche (enti, Regioni, Province, ASL, Comuni, etc.), mettendo in luce ancora una volta un dato inconfutabile: in Italia la PA fatica pagare entro i limiti di legge i propri fornitori.
• Le imprese attendono quasi 50 miliardi di pagamenti
Gli ultimi dati disponibili al 2022 ci dicono che tutta la nostra PA presenta un debito commerciale di parte corrente nei confronti dei propri fornitori, in gran parte Pmi, pari a 49,6 miliardi di euro; praticamente lo stesso livello che avevamo nel 2019, anno pre-pandemia.
In rapporto al Pil, i mancati pagamenti in Italia ammontano al 2,6 per cento. Nessun altro paese dell’UE a 27 registra un’incidenza così elevata. Insomma, nonostante gli sforzi, la nostra PA continua a essere la peggiore pagatrice d’Europa. Secondo Eurostat, infatti, nessun altro Paese in UE presenta uno score peggiore del nostro.
• Bisogna compensare i debiti fiscali con i crediti commerciali. Ora c’è una proposta di legge di iniziativa popolare
Per risolvere questa annosa questione che sta mettendo a dura prova tantissime Pmi, per l’Ufficio studi della CGIA c’è solo una cosa da fare: prevedere per legge la compensazione secca, diretta e universale tra i crediti certi liquidi ed esigibili maturati da una impresa nei confronti della PA e i debiti fiscali e contributivi che la stessa deve onorare all’erario. Grazie a questo automatismo risolveremmo un problema che ci trasciniamo appresso da decenni. E finalmente, c’è la possibilità di arrivare a una definizione normativa in tempi, si spera, ragionevolmente brevi. I Radicali Italiani, infatti, da qualche mese stanno raccogliendo le firme (anche on line) in tutto il Paese per proporre al Senato una proposta di legge di iniziativa popolare che ricalca quanto indicato dalla CGIA. Per saperne di più vai sul sito dei Radicali Italiani.