L’Afghanistan possiede enormi e non meglio precisate ricchezze minerarie: petrolio, ferro, oro e gemme preziose, depositi di rame, litio e terre rare. Un controvalore, scrive il Sole24Ore, stimato dagli americani pari a tremila miliardi di dollari.
Il ritiro degli Usa dal Paese, seguito da quello degli alleati della coalizione, è un’occasione ghiotta per chi in quell’area ha interessi di carattere strategico e non solo. Cina e Russia sono già in partita, sono gli unici che hanno lasciato le ambasciate aperte ed operative con il benestare dei nuovi governanti, i talebani. L’Afghanistan rientra nella “Via della Seta” cinese ma è anche un’ottima opportunità per gli interessi russi nel campo degli idrocarburi.
Poi c’è la questione del progetto TAPI. Il 6 febbraio scorso, pochi giorni prima della storica firma dell’accordo di Doha tra americani e talebani (29 febbraio 2021), il ministro degli Esteri del Turkmenistan, Rashid Meredov, ha incontrato gli alti rappresentanti del Ministero degli Esteri turkmeno e una delegazione dell’ufficio politico del movimento talebano guidato dal mullah Abdul Ghani Baradar. Il motivo dell’incontro era la questione della sicurezza in Afghanistan, risolta oggi con la presa del Paese da parte dei talebani. Il Turkmenistan è infatti intenzionato a portare avanti il progetto TAPI, ovvero un gasdotto che dovrebbe attraversare Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan e India, sviluppato dalla Galkynysh – TAPI Pipeline Company Limited con la partecipazione della Banca di Sviluppo Asiatico (ADB) e con l’appoggio incondizionato di Washington.
La Cina è già avanti rispetto a tutti gli altri perché ha già in mano importanti licenze di estrazione. Quello più contestato (per inquinamenti dovuti a presunte corruzioni) è il Mes Aynak,(tradotto: piccola sorgente di rame) che permetterà alla Cina per trent’anni di poter estrarre dal più grande giacimento al mondo di rame, stimato dall’ex governo afgano in 11,3 milioni di tonnellate di metallo. Ad aggiudicarsi la gare per tre miliardi di dollari, nel lontano 2007, le cinesi China Metallurgical Group (Mec) e Jiangxi Copper.
Il faraonico progetto cinese prevede anche una centrale elettrica a carbone, una rete idrica e una ferrovia verso il Pakistan e l’Uzbekistan, nella zona dove vi è un’area archeologica sede di antichi monasteri buddisti. Da quelle parti insiste anche un importante sito minerario, lo Hajigak, un deposito che racchiude circa 2 milioni di tonnellate di ferro, che si estende per oltre 32 chilometri sulle montagne. Poi in quella zona esiste anche un giacimento di niobio, metallo raro e prezioso utilizzato, scrive sempre il Sole24Ore, per le applicazioni nel settore della difesa.
La Cina poi è titolare della licenza petrolifera assegnata nel 2011 per una durata di 23 anni, alla China National Petroleum Corporation (Cnpc), relativa a tre campi lungo il fiume Amu Darya. Il petrolio non manca, infatti nel Nord del Paese, sono stati scoperti 1,8 miliardi di barili di petrolio e gas.
In tutto questo controvalore commerciale i paesi Nato che hanno combattuto per vent’anni, Italia compresa, risultano non pervenuti, pur avendo lasciato sul terreno oltre 3000 morti (Italia 53). Trattare oggi con i talebani su nuovi contratti appare davvero difficile, visto che ci hanno dipinti sapientemente come traditori del popolo afgano.