A legislatura finita Sergio Mattarella si appresta a sciogliere le Camere tra Natale e Capodanno. Si continua a lavorare per una fine ordinata della legislatura e tenendo al riparo Paolo Gentiloni da crisi improvvide. Un premier sfiduciato non e’ il massimo quando nello spazio della politica i tempi potrebbero dilatarsi alla ricerca di maggioranze di governo che – ad oggi – tutti i sondaggi collocano piu’ nei cassetti dei desideri che in quelli della realta’. A meno che gli italiani non depongano nelle urne l’epifania della governabilita’, il Quirinale si prepara anche agli scenari piu’ complessi. E le attese dei partiti potranno essere deluse, almeno per quanti pensano oggi che bastera’ qualche voto in piu’ per essere chiamati allo “studio alla vetrata” ed avere in mano l’incarico di formare il nuovo esecutivo. Al netto di exploit elettorali che ammazzino i competitor, il faro del presidente sara’ la formazione di un nuovo esecutivo di maggioranza e non una spericolata serie di tentativi parlamentari. Non e’ quindi dirimente l’aver ottenuto alle elezioni qualche punto percentuale in piu’. Per esempio, ma e’ solo un esempio tra i diversi che potrebbero manifestarsi dopo il voto di marzo, a Luigi Di Maio potrebbe non bastare essere il leader del partito vincitore delle Politiche 2018. Per ottenere un incarico pieno dal presidente della Repubblica, Di Maio, osservano fonti informate, dovra’ presentarsi al cospetto del capo dello Stato con un accordo politico in tasca che garantisca una maggioranza in Parlamento. Il sogno, per il Movimento e non solo, resta superare quel 40-42% che garantirebbe la maggioranza assoluta senza alleati. Ma al momento si tratta di cifre che sembrano lontanissime. E, a quel punto, sulla formazione del governo pesera’ la piena discrezionalita’ di Mattarella. Che si muove alla luce fredda di una stella polare: ad ottenere l’incarico non e’ chi ha piu’ voti, ma chi, nelle consultazioni che si terranno al Colle, sara’ in grado di dimostrare di avere una maggioranza con altri partiti. E non si potra’ “barare”: le consultazioni permettono al Capo dello Stato di incrociare, verificandole, le assicurazioni che arrivano da questo o quel partito. A chiunque avesse da presentare al presidente il bottino piu’ ricco (ma nessuna maggioranza), al limite e forse non subito, potrebbe essere assegnato un incarico esplorativo che, come la storia insegna, spesso e’ andato a vuoto. E sempre la storia ci dice che nel 1981 divenne presidente del Consiglio, Giovanni Spadolini, a capo di un partito (il Pri) che alle elezioni di due anni prima aveva preso il 3%. Insomma, si ragiona sempre e solo “sull’incarico produttivo”. Sulle strade che possano portare al risultato. E, in subordine, malvolentieri, nelle stanze piu’ segrete del Colle c’e’ anche chi studia le vie meno dolorose per riportare gli italiani al voto in caso di “impasse” insuperabile.